L’architettura fuori dall’architettura

Questo articolo è accompagnato da 6 disegni di Carmelo Baglivo, architetto progettista, che per comunicare la sua idea di architettura usa lo strumento del collage. Le immagini sono commentate da Baglivo stesso. E’ una comunicazione  molto personale e immediata, ma ironica, paradossale e provocatoria. Rappresenta edifici storici, architetture contemporanee ed ambienti familiari accatastati e scomposti come capita nella nostra memoria. Ognuno può interpretarli come crede, purchè non faccia riferimento alle categorie tradizionali di spazio e tempo, di bello e brutto, di antico e moderno. I due scritti sono montati in parallelo. (U.C.)

C’è un disagio che mi accompagna da anni. Nasce dalla sensazione di non essere capito quando parlo di architettura. Intendiamoci, non quando la conversazione è con altri architetti. In quei casi la comunicazione – in accordo o disaccordo – fila via senza problemi. Diversa è la situazione quando parlo di architettura al di fuori del mondo degli architetti. Mi consolo osservando che è un problema di carattere generale. Se l’architetto oggi parla di architettura con gli studenti di architettura, nei seminari universitari o scrive sulle riviste specializzate, viene capito. Se parla con imprenditori di architettura vista come business, viene capito e seguito. Se parla di architettura intrecciata con la politica, attenendosi alle finalità di una amministrazione o di una lobby, viene ugualmente capito e seguito. Ma quando l’architetto parla della qualità dell’architettura in se, fuori da interessi economici e fuori dalla politica trova molto spesso un muro.

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SFIDE

Voglio raccontare una città senza centro né periferia, senza competizione, stratificata ed eterogenea, senza linguaggi mercificanti, democratica e senza demiurgo. La città è rappresentata senza la contrapposizione tra l’antico e il moderno, senza storia; ma come luogo momentaneamente senza tempo, puro; città dei luoghi astratti, piuttosto che delle immagini astratte. (C.B.)

Occorre chiarire che la difficoltà alla comprensione non riguarda tanto il rapporto con il cliente o l’utente, che ha pieno diritto di ottenere la risposta alle proprie richieste o necessità, quanto la capacità dell’architetto di spiegare le ragioni formali e non solo quelle funzionali o tecniche. Un critico d’arte con i suoi strumenti e il suo linguaggio riesce a risolvere i dubbi dei suoi uditori o lettori. Un critico di architettura molto meno. Ma esiste la critica di architettura? E se esiste a chi interessa?

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TEMPIO MIESIANO

Il collage permette di lavorare sia sommando che sottraendo, penso al
collage come strumento ideale delle avanguardie storiche e come mezzo
capace di confrontarsi immediatamente con la realtà e di misurarla. Con il
collage si realizza qualcosa di nuovo a partire da ciò che abbiamo, si
reinventa il passato e si creano nuovi collegamenti tra cose e persone. (C.B.)

Guardando indietro, provo a ricostruire le ragioni di questa difficoltà, con una premessa: comunque la si voglia considerare, l’architettura è una scienza inesatta che poggia su un tripode malfermo, costituito da tre appoggi non sempre equilibrati: arte, tecnica e umanistica. Tanto più inesatta in quanto si apparenta con una delle scienze più esatte, l’ingegneria, fatta di numeri, formule e calcoli. E il confronto in termini di comunicazione è perdente. Ci sono momenti storici in cui la cultura dominante si spezza, aprendo varchi ad uno stravolgimento che invade anche la dimensione sociale e politica. Uno di questi, nel passaggio dal XIX al XX secolo, fu il transito dal neostoricismo al cubismo con le molteplici sue derivazioni architettoniche. Il Movimento Moderno, malgrado i suoi numerosi e complessi orientamenti espressivi, ebbe la capacità di affrontare due questioni fondamentali: la formazione e il sociale. Da una parte il Bauhaus, dall’altra il tema della casa per tutti. Gli storici ci hanno raccontato come questi due fattori, seppure tra molte difficoltà, fossero stati determinanti per la crescita di una consapevolezza diffusa sui valori della architettura moderna.

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EDIFICIO RESIDENZIALE NEI FORI ROMANI

I collage contribuiscono a costruire l’immaginario di una comunità, dove
ogni immagine assume una chiara posizione politica: non credo alla loro
neutralità. I collage sono rappresentazioni familiari e domestiche, fatti con
pezzi riconoscibili, della quotidianità. Non vogliono costruire un’immagine,
ma decostruirla; mostrare architetture senza funzioni, luoghi o strutture che
aspettano di essere vissuti. (C.B.)

Tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, soprattutto in Italia, la separazione tra ricerca figurativa (la cosiddetta “architettura disegnata”) e realizzazione architettonica (l’”architettura della professione”) aveva prodotto una distanza tra ricerca e realtà, che è stato il primo sintomo di una incomunicabilità tra architetto e società. Tra l’altro l’architettura di quegli anni, scivolata verso il postmodernismo, effimera declinazione della cultura post-moderna, si poneva spesso in contrapposizione con il linguaggio del moderno, sino a scatenare una proliferazione di forme al tempo stesso dotte e volgari. Sempre in quegli anni, sul piano della comunicazione l’architetto “intellettuale” tendeva a rinchiudersi nelle scuole di architettura, forte di un pensiero teorico d’avanguardia, ma debole per capacità di promuoverlo nella pratica. Dalla cattiva comunicazione, non solo con gli utenti ma anche con la politica, presero corpo realizzazioni architettoniche non adeguate ai tempi, soprattutto nel campo dell’housing sociale (Zen a Palermo, Corviale a Roma, le Vele a Napoli e più in generale molti quartieri popolari in tutta Italia), potenti dal punto di vista figurativo, ma deboli, anzi fortemente perturbanti in ambito sociale. Utopie architettoniche realizzate troppo presto o troppo tardi?

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DECOSTRUTTIVISMO ECCLESIASTICO

La città cresce su se stessa e, come nella Città Nuova di Sant’Elia, il progetto
del singolo edificio ha la forza di prefigurare un’idea di città; le immagini
assumono un atteggiamento critico verso il contesto o meglio definiscono
cosa sia il contesto, senza ridurlo a quinta o sfondo. Il territorio e
l’architettura vanno riscritti anzi, citando Beniamino Servino, “sovrascritti”. (C.B.)

Da allora anche le riviste di architettura, cui era demandato un compito di promozione e discussione, hanno dovuto operare una scelta di campo: da una parte quelle diffuse in ambito specialistico e universitario, dall’altra quelle commerciali al servizio del grande pubblico. Con forti equivoci di carattere culturale, con una insopportabile distanza tra ricerca e pratica corrente, con una pericolosa caduta del buon gusto. L’unico punto di convergenza era la pubblicazione dei progetti di “grandi firme”.

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PALAZZO FARNESE ROMA

Le strutture che disegno sono solidamente ancorate al terreno o sugli edifici
esistenti; strutture che rappresentano la perdita dell’oggetto funzionale
attraverso un’architettura nuda, leggera e debole. Vivere l’illusione di un
azzeramento per pensare una nuova estetica dove la struttura vuole essere
il grado zero dell’architettura, una struttura archetipica, come un campo
neutro che aspetta di essere abitato e tramite l’azione del possesso
trasformato. La dissoluzione della forma non avviene attraverso l’infinita
espansione dell’oggetto, che perde così la sua misurabilità, ma avviene
attraverso la denudazione dell’oggetto che è riportato all’essenza
strutturale con un linguaggio architettonico non figurativo. Edifici per avere
una città non iconica, accatastabile, organica, senza storia. (C.B.)

Ed arriviamo a questi ultimi decenni, alla rivoluzione digitale e ad internet. Saranno i tempi della storia a confermarlo, ma anche in questo passaggio di secolo sembra proporsi uno stravolgimento della cultura corrente e dei suoi risvolti in ambito sociale e politico. In architettura la radicale innovazione nella rappresentazione del progetto, dal tecnigrafo al computer, coincide con una nuova espressività dell’architettura. Ma questa volta non sembra che il pensiero degli architetti abbia saputo accompagnarsi ad una reale capacità formativa e tanto meno a schierarsi in favore del sociale. Tutt’altro: mai, come oggi, l’architettura è apparsa legata al potere economico e al business. Nell’epoca della comunicazione facile e veloce, l’architettura viene comunicata male. Soprattutto viene rappresentata come immagine e non come portatrice di contenuti sociali e di valori spaziali. In Italia, poi, la consuetudine con le memorie del passato condiziona valutazioni che vengono riportate al confronto con l’antico. I dipinti di Klee o Kandinskij, le geometrie di Mondrian, le astrazioni tridimensionali di Picasso, le piazze metafisiche di De Chirico sono sempre accettate nella loro modernità innovativa e mai nessuno penserebbe di criticarle al confronto con le opere dei grandi artisti del passato. Per l’architettura contemporanea, per le forme e gli spazi che riesce a creare invece è diverso. La novità infastidisce, il confronto con lo standard consolidato è immancabile, torna l’implacabile condanna terminologica della “colata di cemento”.

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LUNA PARK ROMA

Le immagini non vogliono essere delle visioni, poiché non prefigurano
nuove realtà, a questo si può aggiungere che oggi visione e immagine
tendano a coincidere nell’impossibilità di distinguere presente e futuro. Le
immagini e le visioni invecchiano e si consumano in fretta, riempiono la
nostra vita quotidiana, le viviamo passivamente. Al posto d’immagine o
visione preferisco parlare d’immaginazione come un concetto che è
svincolato dalla codificazione formale e stilistica delle immagini.
L’immaginazione non ha tempo. (C.B.)

Ci sono responsabilità in ambito universitario, dove la frattura tra formazione e lavoro ha assunto proporzioni insostenibili. Colpa di una ricerca che non riesce ha stabilire flussi di relazione stabili con il sociale da una parte e con l’industria dall’altra, e che di conseguenza viene ignorata quando si pone come interlocutore dell’amministrazione pubblica. Una ricerca architettonica che viene dissipata in sterili contrapposizioni di scuola o di disciplina e che sempre meno concorre ad essere partecipe delle grandi iniziative di finanziamento internazionale. Tutto questo isola culturalmente prima ancora che professionalmente la figura dell’architetto, che trova supporto e facilità di comunicazione all’esterno solo quando affronta questioni oggi campali, come la sostenibilità delle trasformazioni, il risparmio energetico, la tutela dell’ambiente e del paesaggio, il restauro del patrimonio, la prevenzione dei rischi, e così via. Ma dentro questi problemi c’è architettura? O forse deve cambiare il concetto stesso di architettura?

Completando queste riflessioni destinate a chi è “fuori dall’architettura”, mi accorgo che anche questa volta, probabilmente, non sarò capito.