Exit West: attraverso le porte del mondo

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In queste ultime settimane il problema delle migrazioni attraverso il Mediterraneo ha aperto scenari tanto drammatici quanto irrisolvibili. La quantità degli arrivi in rapporto ai tempi necessari per l’accoglienza e l’integrazione – soprattutto nei paesi europei che soffrono la disoccupazione – crea disagio e molta intolleranza. La condizione geografica dei paesi UE che affacciano sul Mediterraneo centro orientale sembra essere l’unica discriminante tra chi accoglie e salva da morte sicura i migranti e chi invece elude il problema in una sorta di negazionismo della tragedia in atto. La cosa ancora più inquietante è che proprio i paesi europei – guarda caso i più ricchi – che per molti decenni hanno saputo accogliere e gestire le migrazioni dall’Africa quasi come redenzione per le malefatte dell’imperialismo coloniale, oggi sono i più decisi avversari dell’accoglienza. Sarebbe come dire: noi le nostre colpe le abbiamo sanate e la nostra parte l’abbiamo fatta, ora tocca a voi, lavate anche voi le colpe dell’occidente!

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Ma è impossibile chiudere le porte del mondo. Ce lo racconta Exit West, un libro uscito da poco che consiglio di leggere. E’ un libro diretto e visionario. Il suo autore, Mohsin Hamid, pakistano, vissuto negli Stati Uniti, aveva scritto una decina di anni fa Il Fondamentalista Riluttante, portato poi con successo al cinema da Mira Nair. Grazie ad alcuni dispositivi narrativi la tragedia delle migrazioni dalle guerre del Sud nel mondo dell’Ovest viene descritta senza ordine di tempo nè di spazio. Storie che vengono dal futuro, ma uguali ad altre storie di oggi e del passato. E’ la narrazione di un tenero e casto amore immerso nel disagio della proliferazione delle migrazioni globali. Nel melting pot il migrante che ha perso la propria identità nativa ne ritrova un’altra ad un livello più alto, perché tutti sono stranieri e quindi tutti sono uguali.

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Il libro ci parla di questa gente senza nome e senza patria. Ma è un popolo che esprime dignità più che sofferenza, comprensione più che rabbia, speranza più che rassegnazione, diffidenza più che paura, solidarietà più che competizione. Nel mondo del Sud il conflitto distrugge la famiglia, la casa, la città, ma nel mondo dell’Ovest l’emigrante perde l’eguaglianza e il radicamento. E continua a spostarsi. Eppure questo Ovest non può chiudere le porte. Minaccia e controlla, ma infine perde e una sorta di resilienza globale riporterà la pace, e poi, forse, la pace finirà e tornerà la guerra. Ognuno di noi nasce, cresce, invecchia e muore. Perché siamo tutti emigranti, alcuni nello spazio, ma tutti nel tempo.

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