un confronto con l’articolo di Galli della Loggia sul Corriere della Sera
nello scritto che segue viene simulato un contraddittorio con l’articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 02/09/23, dal titolo L’errore di buttare via l’idea di natura (e di storia) di Ernesto Galli della Loggia. L’articolo stesso è stato suddiviso in brani e, punto per punto, sono state contrapposte idee di segno opposto. Questo scritto, oltre a esprimere due diversi punti di vista, vuole mettere in atto un artificio retorico che dimostri come, nella complessità del pensiero politico contemporaneo, sulla base delle proprie convinzioni, sia possibile ribaltare quasi letteralmente i concetti dell’interlocutore. [in nero l’articolo di Galli della Loggia, in rosso le mie risposte].

Giorgio De Chirico, Muse Metafisiche (1918)
(GdL) Il principale problema politico dei conservatori è quello che pur essendo critici dello spirito dei tempi devono curare di non apparire dei reazionari (cioè come puri e semplici nostalgici del «buon tempo antico»). Il che può essere niente affatto facile. Oggi però, a differenza che per il passato, una posizione conservatrice può contare da questo punto di vista su un vantaggio importante: davanti a sé, infatti, essa non ha come una volta l’illuminismo, il liberalismo o il socialismo, cioè una qualche grande prospettiva in un avvenire migliore, una qualche promessa generale di riscatto e di felicità, una speranza per l’umanità tutta. Davanti a sé oggi ha il «progressismo» (mai denominazione apparve più sgangheratamente generica), che concepisce un solo tipo di progresso — quello scientifico tecnico —, che al posto della libertà sembra perseguire solo il più banale «liberi tutti», e che in sostanza gioca ogni sua posta su un unico tableau: quello dell’umanità occidentale, perlopiù bianca, libera e benestante.
(Cao) Il principale problema politico dei progressisti, essendo dentro lo spirito dei tempi, è quello di credere troppo alle logiche del mercato e alle libertà dei social, col rischio di apparire materialisti e fautori di uno indiscriminato sviluppo tecnico. Terminata l’epoca della lotta di classe, assediati dal populismo che, nel suo fallimento, ha aperto la strada alla destra reazionaria, il progressismo deve ricostruire “un principio che sta nell’anima dell’Occidente sin dall’antichità greca: l’emancipazione dell’umano, di tutto l’umano; non il socialismo: che è stato solo un mezzo per raggiungere quell’obiettivo, ma non il fine, anche se spesso le due cose sono state confuse” (Aldo Schiavone). Dunque, la crisi del progressismo, che di fatto coincide con la crisi della politica e della democrazia rappresentativa, può essere superata innanzi tutto guardando ai fenomeni delle nuove tecnologie e alla modernità non come un mondo avverso che sottrae lavoro manuale, bensì come una occasione di emancipazione e, al tempo stesso, di conflitto sociale, quando necessario. La posizione progressista ha davanti a sé il conservatorismo – termine brutto, ma reale – che nega i valori della modernità presentandola in modo ingannevole come antagonista dei valori del passato e non come sintesi di memorie e innovazioni.
(GdL) Non a caso da tempo un tale progressismo non è più la naturale ideologia dei socialmente sfavoriti (i quali anzi spesso costituiscono il nerbo del cosiddetto populismo). Non lo è sia perché in realtà esso non sa o non si cura di offrire alcuna ricetta sociale forte, e sia per una ragione più profonda e più importante. Perché oggi il progressismo sottintende una rivoluzione antropologico-culturale che mira a delegittimare alcune strutture profonde del sentire comune. Quel sentire comune sul quale si è costruita e continua ad essere costruita l’esperienza di vita della grande maggioranza delle persone. A differenza, insomma, delle precedenti ideologie di progresso, le quali miravano innanzi tutto a trasformare i rapporti sociali e politici, il progressismo attuale mira a qualcosa di completamente diverso: a sovvertire innanzi tutto il mondo dei valori e i rapporti personali tra gli individui.
(Cao) Non a caso, in gran parte del mondo, il conservatorismo, dopo avere divorato il populismo si è politicamente impadronito dei socialmente sfavoriti con la sua retorica delle paure per la modernità. Per i conservatori il riscatto e il benessere verranno insieme alla affermazione degli interessi personali, alla rinnovata supremazia dell’uomo bianco e all’allontanamento delle minacce di popolazioni lontane, esaltando l’individuo e gli stessi professati valori cristiani. In guerra o pace, non fa differenza. La conservazione richiama i valori cristiani come fondamento della supremazia dell’Occidente, una posizione pericolosamente vicina allo sciovinismo ed al nazionalismo sovrano, per non dire di peggio. I tre valori conclamati, Dio, Patria, Famiglia, sono regressivi e privi di prospettive per il futuro; ma anche fasulli se consideriamo quanto la religione, il concetto di nazione e quello di famiglia siano ormai plurali e contraddittori, simulacri retorici privi di contenuti e lontani dai reali valori cristiani, storici e affettivi, unicamente collegati a superficiali nostalgie del passato. Scrive Schiavone: “di quale Dio si parla? Non certo di quello dei Vangeli, che era un Dio universale, che non conosceva distinzioni di patrie; e proprio questo era il carattere dirompente del messaggio cristiano, come immediatamente vide Paolo1 sin dal primo secolo, quando ammoniva che per il Dio di Gesù: «Non c’è giudeo né greco, non c’è schiavo né libero…» Dunque, mettere insieme Dio e patria ha in realtà poco senso: è quasi un ossimoro.”
(GdL) Lo sta facendo prendendo di mira due caposaldi di quello che potrebbe chiamarsi il pensiero corrente, l’opinione dei più, che fino a pochissimo tempo fa ancora bene o male servivano a definire culturalmente l’universo dell’Occidente: l’idea di natura e l’idea di storia. Secondo il punto di vista progressista che tiene oggi il campo la natura esisterebbe ormai solo come qualcosa da superare, un limite arcaico da gettarci dietro le spalle: concettualmente e se possibile praticamente. Praticamente grazie al dispositivo congiunto della scienza e della tecnica, a proposito del quale guai a chiedersi se alla nostra umanità convenga davvero sempre e comunque fare ciò che in teoria la scienza consentirebbe di fare. In specie se si tratta di ampliare il raggio delle nostre potenzialità fisiche o di introdurre di continuo nella vita umana dosi sempre nuove e sempre più sofisticate di artificialità meccanizzata.
(Cao) Il conservatorismo prende di mira due caposaldi che fino a pochissimo tempo fa ancora, bene o male, servivano a definire culturalmente l’universo dell’Occidente: l’idea di natura e l’idea di storia. Giocando sull’equivoco del conflitto fra scienza e natura (qui ci sarebbe da rivendicare un vasto campionario di saggi e studi), tende a fermare qualunque visione ottimista e dunque a negare la progettualità del futuro: la paura come strumento di consenso, sempre! Il punto di vista progressista crede nel progetto, ovvero nella capacità dell’intelletto umano di fare tesoro del passato vedendolo come motore della innovazione e dell’avanzamento sociale, appunto.
(GdL) Concettualmente invece il progressismo mira a eliminare l’idea che i comportamenti umani elementari nonché gli stati psico-emotivi e i rapporti interindividuali che li caratterizzano (la bipolarità di genere e l’accoppiamento, la genitorialità, il legame dei gruppi primari) abbiano un qualsiasi fondamento nella natura. Sostenendo che in questo ambito, viceversa, ogni cosa sarebbe frutto di convenzioni o di abitudini consolidatesi nel corso del tempo, un puro e semplice «prodotto della società» e quindi, come tale, modificabile o cancellabile a piacere. Minando l’idea che nei comportamenti sociali e nei rapporti degli esseri umani tra di loro vi sia qualcosa che possa dirsi davvero «naturale» e in questo senso «normale», il progressismo odierno getta le basi per il soggettivismo più radicale. L’individuo diviene di fatto la misura di tutte le cose (ciò di cui via via anche i codici hanno preso atto ampliando sempre di più la sfera dei diritti personali). In tal modo nell’universo progressista il «noi», qualunque «noi», vacilla e tende a dissolversi. Esiste unicamente l’individuo solo e davanti a lui, onnipotente, la ramificata struttura della tecnoscienza.
(Cao) Concettualmente invece il conservatorismo, giocando con la stanchezza diffusa per una sovraesposizione mediatica (cinema, social, gruppi arcobaleno) delle diversità sessuali, mira a rinforzare l’idea che i comportamenti umani elementari nonché gli stati psico-emotivi e i rapporti interindividuali che li caratterizzano (la bipolarità di genere e l’accoppiamento, la genitorialità, il legame dei gruppi primari) siano l’unico fondamento nella natura umana. Il resto, sempre esistito, avversato nel passato e solo da pochi anni rispettato, è anomalia contro-natura, se non pericolosa devianza. Esasperando l’idea che nei comportamenti sociali e nei rapporti degli esseri umani tra di loro debba esistere solo la consuetudine naturale, il conservatorismo odierno getta le basi per l’individualismo più radicale e apre pericolosi conflitti. Per i conservatori esite il “solo noi”, la solidarietà è persa e non c’è più il senso di comunità: sempre più lontani dall’insegnamento cristiano.
(GdL) Tanto più definitiva diviene poi questa solitudine in quanto essa si estende pure al passato. Come ho detto all’inizio anche la storia infatti — origine prima della tradizione — tende ad essere via via scalzata dal panorama sociale. Dopo la natura, infatti, è la storia (nella narrazione occidentale così connessa all’idea di natura umana) l’obiettivo principe del progressismo. La storia: così feroce, così turgida di sentimenti estremi, tanto spesso così ingiusta. È in particolare proprio ciò che la rende invisa all’ottica progressista la quale, per l’appunto, si fa un punto d’onore nell’additare la moltitudine di violazioni dei diritti umani che costellano le sue vicende e nel comminare grottesche condanne retrospettive alle guerre, alla schiavitù e a quant’altro. Ma al di là di questo ridicolo esercizio di moralismo è la dimensione complessiva della storia che il progressismo considera a sé estranea se non ostile. Perché rivolgere la propria attenzione al passato, magari considerarlo in qualche modo fonte d’ispirazione, contrasta troppo clamorosamente con il suo scopo: guardare solo e sempre avanti perché da lì solo può venire la felicità, lì solo è ciò che è nuovo e buono, il progresso appunto.
(Cao) La “storia” è assoluta, c’è, ma è sopra di noi; la “storiografia”, che è parte di noi, invece è uno strumento fondamentale di conoscenza, è interpretazione e narrazione. Questa è una distinzione fondamentale per spiegare come sia possibile nello scorrere del tempo studiare, approfondire, ricollegare, aggiornare il “pensiero storico” che non sarà mai “pensiero unico”. Si potrebbero fare moltissimi esempi in proposito, ma non è questa la sede. I conservatori considerano il passato un riferimento statico, mentre il mondo cambia insieme alla straordinaria facilità di reperire dati e documenti che confermano e talvolta smentiscono, ora piacciono ora non piacciono. Le certezze storiche del conservatorismo non tollerano dubbi né esitazioni sul passato, ma moltiplicano dubbi e incertezze sul futuro: le paure, sempre!
(GdL) È questa inedita condizione del nostro tempo appena tratteggiata che pone il punto di vista conservatore, a me pare, in una condizione anch’essa del tutto nuova rispetto al passato. L’illuminismo, il liberalismo, il socialismo rappresentavano dei mondi morali, contenevano in sé degli ideali di vita individuale e sociale carichi di elementi positivi e di suggestioni, nei loro auspicio erano anticipatori di un’umanità migliore. Di fronte ad essi una posizione conservatrice era fatalmente condannata ad apparire retrograda, reazionaria: perché in buona parte realmente lo era. Oggi però le cose stanno ben diversamente. Oggi opporsi al progressismo — in questo senso essere conservatori — ha poco del reazionario ma assai di più incarna una posizione di cautela e di dubbio necessari di fronte agli applausi scroscianti pronti a levarsi dappertutto verso il sempre nuovo, verso l’irrisione o la distruzione di quanto non lo è. Oggi una posizione conservatrice ha paradossalmente quasi la funzione di un «katéchon», di qualcosa che trattiene da una deriva potenzialmente fuori dall’umano. Non è un restar fermi e tento meno un voler tornare indietro: si tratta solo di capire bene dove si sta andando.
(Cao) Il progressista deve rinnovarsi inseguendo un nuovo illuminismo, promuovere la scienza e studiare la storia per capirla sempre meglio, spogliarsi delle ideologie, allontanarsi da pensieri consumati dal tempo e dai luoghi comuni, preferire sempre il dubbio alle certezze, ma continuando a credere nel futuro dell’uomo. Coltivare la speranza di un mondo migliore, fatto di libertà ed eguaglianza, utilizzare le risorse che la modernità mette a disposizione per il bene comune. Il progressista contemporaneo dovrà tenere lontana una “conservazione” rigida e al tempo stesso aggressiva, che esalta guerre e invoca patrie e divisioni, sino a trasformarsi in un pericoloso “Katéchon” che, prima di sconfiggerlo, crea esso stesso l’anticristo.

Antonio Sant’Elia, La città nuova (1914)
