
“Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via“, scrive Scurati nell’ormai celebre monologo censurato dalla RAI. Prendo spunto da questo passaggio per chiarire quale è secondo me il reale pericolo di un governo guidato da una destra estrema che rifiuta di dichiararsi “antifascista”. E cioè, cosa significa temere che questo governo voglia riscrivere la storia?

Chiarisco subito che non penso che Meloni e la sua maggioranza politica intendano tornare al fascismo come dittatura. Per svariati motivi: innanzi tutto perché Giorgia Meloni si mostra partecipe del sistema democratico occidentale anche in politica estera; il secondo perché l’elettorato reale che ha votato per l’attuale maggioranza, considerando l’ampia astensione dal voto, è inferiore al 28%, dunque poco più di un italiano su quattro appoggia in modo convinto il governo Meloni; il terzo è che attualmente non esiste uno squadrismo violento come arma per contrastare le opposizioni (arma letale invece nelle mani di Mussolini); infine perché, in ogni caso, l’appartenenza dell’Italia alla Unione Europea come Stato cofondatore, rende molto difficile una deriva autoritaria (oggi solo l’Ungheria sembra avvicinarsi a questo pericolo, ma l’Ungheria non è l’Italia).

Penso invece che le intenzioni della attuale destra al potere siano orientate a distruggere dalle radici quello che possiamo chiamare “il risorgimento democratico e culturale” che ha accompagnato per 80 anni la repubblica italiana, tornando ad accarezzare una visione della società chiusa entro valori profondamente reazionari, e per questo vicini alle condizioni dell’Italia fascista; una visione che, tra l’altro, costituisce un ampio serbatoio di voti. Per farlo Giorgia Meloni non può prendere le distanze dal fascismo come ideologia, anzi deve rivalutare il ventennio e alleggerire la condanna della storia, dunque non si dichiara “antifascista”. Inoltre, insieme ai suoi ministri comunica apertamente di volere sovvertire la “cultura di sinistra” – la chiama così – che ha dominato per l’intero dopoguerra, tornando ai valori basici della nazione già difesi dal suo primo partito, il Movimento Sociale Italiano. Per ottenere questo scopo la Presidente del Consiglio si è circondata di figure modeste che portano avanti singolari e sconcertanti ipotesi: ad esempio il ministro Sangiuliano che, tra una gaffe e l’altra, chiede di rendere intoccabile l’asse stradale di via dei Fori Imperiali a Roma per non dimenticare l’intervento del “duce”, anziché inserirlo in un circuito di visita delle meraviglie archeologiche; oppure il cognato Lollobrigida che ripropone con termini più moderni (made in Italy) l’autarchia alimentare di buona memoria; oppure ancora la ministra Santanchè con le improbabili e volgari campagne in favore del turismo italiano.

Sappiamo bene che la condizione dominante ”di sinistra” che Meloni vuole abbattere è molto relativa, sia per le alternanze politiche tra centrodestra e centrosinistra della seconda repubblica, sia per la forte maggioranza cattolica (Democrazia Cristiana) nella prima repubblica, che da una parte teneva fisso al centro l’equilibro delle componenti politiche di governo, ma dall’altra, nonostante tutti i limiti di una Italia malandata e indebitata, operava un graduale, ma progressivo rinnovamento delle condizioni sociali e culturali. Ne sono testimonianza la trasformazione dell’IRI, gli incentivi per lo sviluppo industriale, l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale e la chiusura degli ospedali psichiatrici, il ruolo del sindacato, la riforma della scuola con l’obbligo scolastico, le nazionalizzazioni per controllare i costi di energia e comunicazione, l’incentivazione del ruolo e occupazione della donna, l’istituzione del divorzio e successivamente la legge sull’aborto, e, seppure nelle contraddizioni e talvolta malaffare della classe politica, molte altre ancora. Sul piano culturale questo risorgimento repubblicano è stato ancora più marcato: in letteratura, musica, arte e architettura, ma soprattutto nel cinema, da un neorealismo che prendeva ferocemente le distanze dal Fascismo e dalla guerra, sino ai grandi maestri del “sociale” come Pasolini, Antonioni, Visconti e Fellini e, oggi, ai brillanti autori come Moretti, Sorrentino e Garrone, che competono a livello internazionale. Tutto questo è cultura di sinistra? Preferisco pensare che la cultura non sia né di sinistra né di destra, ma dipenda esclusivamente da chi la possiede e la pratica.

Su cosa si basano invece i valori nazionali con i quali la destra oggi al potere vuole abbattere la presunta egemonia della sinistra? “Dio, Patria e Famiglia”, rispondono Meloni e gli altri leader. Ma è una triade che appare come un tripode dalle gambe arrugginite e malferme. Costoro, simulando una appartenenza religiosa che, come il loro duce ispiratore, non possiedono realmente, tendono a includere il concetto di nazionalità entro quello della dottrina cristiana, ostentando i valori del cristianesimo come unici, assoluti e necessariamente dominanti nel mondo. Il loro concetto di appartenenza alla “patria” presume la coincidenza tra nascita e diritti: chi non è italiano di “sangue” non ha diritto di cittadinanza; ma, poi, cosa è una “patria” oggi, con l’ibridazione delle etnie, delle culture e delle lingue, le libertà del mercato, la facilità delle informazioni, la velocità degli spostamenti e il fenomeno stesso delle immigrazioni? I confini tendono a scomparire, diventano limiti effimeri, barriere posticce anche se di cemento; così il significato di “patria” si riduce a strumento di propaganda del consenso e alibi di una lotta per il potere. La famiglia infine viene congelata nella sua formulazione elementare: padre, madre, figli; sin troppo facile ricordare come, oggi nel mondo avanzato e domani probabilmente anche in modo universale, il concetto di famiglia assuma solo l’amore come condizione di unione “famigliare”: anche uomo con uomo, donna con donna, ma in una visione più ampia che non rinchiuda gli affetti e il sostegno reciproco entro le mura domestiche, ma possa ampliarsi nella solidarietà con e verso altri; guarda caso, un concetto cristiano! Il tripode della destra è vecchio e cadente, ma sostiene la fiamma tricolore che non vogliono spegnere.

Per questo, dunque, fa paura l’occupazione da parte della destra di tutti posti apicali della comunicazione e della cultura, perché non è solo la deprecabile alternanza nella gestione del potere, bensì la volontà di distruggere la storia del progresso civile, sociale e culturale dell’Italia repubblicana antifascista, per tornare ad un passato travestito da “tradizione” che ristabilisce la continuità ideologica con il pensiero fascista. E per questo fa anche paura l’insofferenza per l’opposizione politica e la stampa, che vengono continuamente sbeffeggiati fuori e dentro il Parlamento.

bravo Umberto!
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Condivisibile al 100% vorrei solo aggiungere che ritengo i 5 stelle con il loro sbracato populismo e l’orgoglioso rifiuto della scienza e della conoscenza siano stati una chiave importante che ha aperto le porte a questa marea reazionaria e fascista che oggi esprime la maggioranza del paese .
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Grazie dell’apprezzamento, anche se non è riportato il tuo nome
Umberto
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