Non me ne vogliano i 10 milioni di spettatori, ma la decadenza del cinema italiano è sancita dal successo delle fiction su Montalbano. Per fortuna, però, la stessa RAI che produce sceneggiati di bassa qualità cinematografica, ma di alto richiamo per il pubblico televisivo italiano, nella sezione RAI Cinema svolge un lavoro importante di promozione dei giovani italiani di talento. Il Padre d’Italia non è un film eccezionale, ma certamente da vedere. Consente ad un giovane regista al secondo lungometraggio, Fabio Mollo, di confezionare un racconto coinvolgente, sia perché nel vivo di alcune problematiche attuali (l’omosessualità, la paternità/maternità, la solitudine dell’abbandono), sia perché interpretato da due attori veri: un Luca Marinelli strepitoso e una Isabella Ragonese intensa come sempre.
La storia ribalta il concetto di “naturale” e “innaturale” applicandolo non tanto al tema della omosessualità in sé, quanto al problema dei figli. Come dice il protagonista Paolo in una battuta verso la conclusione del film “la natura concede ad un uomo ed una donna di concepire un figlio, ma è innaturale che questo non sia concesso all’amore tra due uomini”. Il film rappresenta anche l’affetto che nasce tra un giovane uomo e una giovane donna, man mano che scoprono come le loro diverse identità, non solo sessuali ma anche nella scelta di vita, si possano unire in risposta alla solitudine. So di proporre un paragone indegno, ma il rapporto tra i due protagonisti, Paolo e Mia, mi ha ricordato il capolavoro di Ettore Scola, Una Giornata Particolare.
Infine una considerazione forse un po’ severa, ma condivisibile: Il Padre d’Italia mostra anche a chi ama il cinema come, tra il soggetto e la regia, ci sia il passaggio fondamentale della sceneggiatura. Nel film quest’ultima non appare priva di sviste e semplificazioni che indeboliscono la concretezza del racconto. Ottima comunque la regia e la fotografia, accompagnate da una musica, forse un po’ scontata, ma appropriata al film.