GIORNI PERFETTI IN MONDI DIVERSI

Ci sono film che inventano storie, altri che ricostruiscono biografie, altri ancora che raccontano viaggi, esplorano relazioni o rapporti di amicizia, parlano di amore oppure di odio, film che guardano ai paesaggi, alle città, alle architetture… Wim Wenders ha percorso tutti questi temi nella sua intensa produzione cinematografica.

Ma Perfect Days di Wenders è una sfida perché racconta una “non storia”, ovvero descrive la ripetizione di atti semplici ma perfetti, non un giorno ma tanti giorni, con piccoli, ma sostanziali cambiamenti. Hirayama è un uomo attempato e solo, addetto alle pulizie dei gabinetti pubblici di un quartiere di Tokyo, nella cui umanità convive il senso del dovere con il piacere di lavorare e la solitudine con la capacità di comunicare.

A mio avviso, al di là della eccezionale bravura dell’attore, il celebre Kōji Yakusho, e dello spessore umano di tutti gli incontri che vengono descritti durante le “giornate perfette”, ci sono due passaggi nel film che ne svelano il significato e, dunque, anche il valore. Il primo è l’incontro del protagonista, un uomo che ha costruito la sua cultura con la musica, le letture e gli strumenti degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso – bene sintetizzati dalle audiocassette, i libri comprati usati e la macchina fotografica a pellicola – con alcuni giovani conoscenti e la nipote, tutti immersi nella cultura contemporanea: “esistono tanti mondi diversi: a volte si incontrano altre volte no” dice Hirayama alla nipote. Mondi che coesistono nello spazio e nel tempo e che vanno accettati nei valori come nelle pene, senza nostalgie né rimozioni, ma conservati nella memoria. E non ci poteva essere altro paese, se non il Giappone con la sacralità delle sue tradizioni, a rinforzare questo concetto.

Il secondo passaggio è nel finale, quando l’incontro di Hirayama con un coetaneo malato di cancro si conclude con lo sguardo sulle proprie ombre: “se le cose non cambiassero mai sarebbe assurdo” dice il protagonista. Insieme alla fiducia nel cambiamento entra in gioco la consapevolezza della vita caduca, allora i corpi diventano ombre che si fondono tra loro, poi ricompaiono e si fondono di nuovo: si sorride e si piange nello stesso momento.

P.S. Nel film si vedono molti gabinetti pubblici. Come architetto sottolineo il valore del progetto Tokyo Toilet, (che ha dato spunto al film), realizzato tra il 2020 e il 2021 in occasione delle Olimpiadi, affidando a 16 architetti di rilievo internazionale, tra i quali  Fumihiko Maki, Kengo Kuma, Shigeru Ban, Tadao Ando, Toyo Ito, ecc… il progetto di un gabinetto pubblico, del loro gabinetto ideale, nel famoso quartiere di Shibuya. Nell’ormai lontano 2007 io andai con colleghi e un gruppo di studenti di architettura a visitare Tokyo per vedere e fotografare, tra gli altri, gli edifici “brand” della moda lungo la celebre strada Omotesandō. Oggi gli studenti andranno a fotografare i gabinetti pubblici della vicina  Shibuya. I tempi cambiano, mondi diversi coesistono, appunto.

a seguire alcuni dei gabinetti pubblici realizzati nel programma Tokyo Toilet

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