BIENNALE DI VENEZIA E CULTURA

Mentre scrivo queste righe, non ho ancora visto i film in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, ma ho letto la valutazione dei critici e seguito per intero in diretta la serata delle premiazioni. Due considerazioni: la prima è che la giuria ha deciso di premiare il film tunisino “The Voice of Hind Rajab”, che racconta la tragedia della bimba palestinese uccisa dai soldati di Netanyahu, un film con 24 minuti di applausi in sala, di grande valore per la denuncia delle atrocità commesse in Palestina; ma la stessa giuria poi gli ha assegnato il Leone d’argento, negandogli il maggiore risalto internazionale del Leone d’oro e assegnando il massimo premio al film di Jarmusch. Una scelta discutibile?

Ma la seconda considerazione riguarda il Presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco, attivista organico nel Movimento Sociale Italiano e Alleanza Nazionale per anni, scrittore e giornalista per giornali di destra, che non ha disdegnato collaborazioni anche con La Repubblica e il Fatto Quotidiano; ambiguo anche nella sua visione religiosa sospesa tra Cristianesimo e Islamismo. Dunque, perfetto per coprire la carica di Presidente della Biennale, nominato da Sangiuliano in nome della linea del governo Meloni di contrastare la “egemonia della sinistra”. Ieri sera Buttafuoco, come si conviene al Presidente della Biennale, ha chiuso la Mostra del Cinema. Ma lo ha fatto con uno “spot televisivo” o poco più, promuovendo (ed esibendo) la rivista della Biennale e le altre mostre in corso; non un pensiero che articolasse il rapporto tra cinema ed arte, tra cinema e attualità politica, non un saluto elevato come Presidente della più alta istituzione culturale italiana. È questa la nuova cultura di destra? Ma, soprattutto, esiste una “cultura di destra” a fronte di una “cultura di sinistra”?

Sarebbe stata cosa giusta la volontà di interrompere la consuetudine di chi è al potere nel nominare persone “amiche”, ovvero della propria parte politica. Eppure, chi oggi è al governo, nominando le cariche nei diversi ambiti statali di informazione, direzione e gestione, non ha modificato la procedura. Anzi, la volontà di ribaltare l’orientamento culturale, più volte dichiarata da Meloni, ne è esplicita ammissione. Ma la contraddizione è già nel concetto di base: non esiste una cultura che possa definirsi in termini di collocazione politica; in altre parole, indipendentemente dalle convinzioni politiche di chi esprime pensieri ed opere d’arte o ingegno, hanno valore i contenuti di questi pensieri ed opere. La cultura, in tutti i campi della conoscenza e creatività, può guardare al passato, al presente o al futuro, ma è sempre “progressiva”. La cultura non è solo “nazionale”, ma abbraccia una sfera pubblica globale; è condivisa, dinamica, inclusiva, non fugge dalla complessità. Rappresenta sempre un atto di “modernità” intesa come contributo di pensieri ed opere che, considerando ambiti spaziali e temporali diversi, li colloca nel presente, ma li proietta nel futuro. Per tutto questo la cultura non può che essere “progressista”. La “cultura conservatrice” non esiste.

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