L’undici settembre del cemento armato

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Ponte sul Polcevera, immagine d’epoca, 1967

Nel 1925 Le Corbusier scriveva: “Gli ingegneri fanno dell’architettura perché impiegano il calcolo derivato dalle leggi della natura, e le loro opere ci fanno sentire l’ARMONIA. C’è dunque una estetica dell’ingegnere, poiché nel calcolo è necessario qualificare certi termini dell’equazione ed è il gusto ad intervenire. Ora mentre si maneggia il calcolo, si è in uno stato di spirito puro e, in questo stato dello spirito, il gusto prende cammini sicuri” (Vers une Architecture, pag.7 ed. it.). Se l’architettura nella prima metà del XX secolo ha scelto un nuovo linguaggio abbandonando neoclassicismi e storicismi, l’ingegneria con il cemento armato ha scoperto orizzonti inesplorati. Era il tempo della fiducia nella modernità e nella tecnologia. Questo tempo ha cominciato a vacillare nella seconda metà del secolo: tanto più veloce e sorprendente è stato lo sviluppo tecnologico, tanto meno è stato considerato fattore di progresso. Caduto l’ottimismo per la modernità, è sopraggiunto il pessimismo per il futuro. La crisi economica e le contraddizioni della globalizzazione hanno fatto il resto.

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Ponte sul Polcevera, il crollo

Pessimismo, paure, ma anche tragedie: il collasso del Ponte sul Polcevera di Riccardo Morandi, con i 43 morti e centinaia di sfollati è stato l’”undici settembre” del cemento armato. Da oggi non sarà più come prima. Ma in questi giorni sono comparse sui giornali argomentazioni non sempre chiare sulla struttura del ponte. Senza partecipare ai cori di interpretazioni ed accuse motivate più da propaganda politica che da motivazioni tecniche, vorrei cercare di illustrare ai “non addetti ai lavori” il principio costruttivo del ponte e una delle possibili ragioni del crollo di un intero pilone con i suoi stralli.

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Ideogramma dello strallo tipico in acciaio

Mi baserò su una descrizione di Giorgio Boaga della soluzione tecnica applicata da Morandi nel ponte di Genova (G. Boaga, Riccardo Morandi, Zanichelli, 1984). Sono chiamati stralli i tiranti, generalmente in acciaio, che svolgono la funzione di sostenere, dall’alto di un pilone generalmente in cemento armato, le travi che sorreggono l’impalcato di un ponte o la copertura di un edificio. Morandi iniziò a studiare l’applicazione dei tiranti strallati protetti da cemento armato precompresso sino dal 1957 in occasione del concorso internazionale per il Ponte sulla Laguna di Maracaibo in Venezuela e poi approfondito per almeno vent’anni in altre situazioni (Genova, Colombia, Libia, ecc…).

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R. Morandi. Ponte General Rafael Urdaneta, Maracaibo (1962)

Questo significa che vengono realizzati ponendo in opera, entro apposite guaine e prima del getto del cemento, cavi in acciaio di grosso spessore sottoposti a forte trazione. In virtù della guaina e di piastre poste alle estremità i cavi di acciaio possono essere ulteriormente tesi anche dopo il getto del cemento, in occasione di successive manutenzioni. In questo modo il cemento, pre-compresso, potrà svolgere una funzione statica di protezione-integrazione del sistema, che in condizioni normali non sarebbe in grado di svolgere. Ma ha funzionato questo tipo di protezione? E’ uno degli interrogativi di questi giorni.

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R. Morandi. Ponte sul Wadi al-Kuf, Libia (1971)

Nel caso di Genova (ma anche degli altri ponti realizzati dall’ingegnere romano) questi stralli, che lavorano in coppia disposti trasversalmente da una parte e dall’altra della carreggiata stradale non sono applicati sul cavalletto in testa ai piloni, ma proseguono discendendo dalla parte opposta dove sostengono l’altra parte dell’impalcato del ponte perfettamente uguale e simmetrico al primo. In questo modo il pilone di sostegno è bilanciato e solo compresso. Ma attenzione, il sistema funziona se gli sforzi sono assolutamente equilibrati ed il carico della trazione è costante. Se uno solo di questi stralli cede su un lato, immediatamente la struttura si sbilancia, perché l’altra estremità dello strallo al di la del cavalletto di sostegno si allunga, l’impalcato, non più sostenuto, crolla da entrambi i lati del pilone, tutto il sistema viene sollecitato a torsione sino al collasso del cavalletto portante. E forse proprio questo è capitato al ponte di Genova.

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Pilone tipico con stralli equilibrati in cemento armato precompresso

La mia è solo una illustrazione elementare dell’equilibrio statico del ponte di Morandi e di come questo equilibrio possa entrare in crisi anche solo con l’allentamento di uno strallo. Non ho elementi di conoscenza diretta del fenomeno se non quanto visto in TV o pubblicato sui giornali. E non ho neppure la competenza ingegneristica per formulare ipotesi. Di due cose però resto convinto.

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Strallo in c.a. precompresso, fase di casseratura e getto del cemento

La prima è che il cemento armato è un materiale costruttivo meno duraturo non solo dell’acciaio, ma anche delle murature piene tradizionali di pietra o mattoni. L’impiego del calcestruzzo naturale derivato dall’impasto di pietra calcarea calcinata, argilla e acqua è antico, risale all’opus cementicium dei Romani impiegato nel rinforzo dei muri in pietra, nelle fondazioni e, combinato con mattoni, per creare volte anche di grande luce (il Pantheon a Roma, ad esempio). Ma il suo impiego industriale nasce solo verso metà del XIX secolo e, associato al ferro come cemento armato, fu sperimentato in Francia nella seconda parte del secolo, diventando materiale largamente impiegato solo all’inizio del Novecento. Poco più di cent’anni ad oggi, dunque. Nonostante il perfezionamento degli impasti e del suo impiego industriale, il suo degrado per agenti fisico-chimici è progressivo ed inevitabile.

La seconda cosa certa è che le opere in cemento armato hanno bisogno di manutenzioni accurate e continue, soprattutto quando avanzate ingegneristicamente e complesse staticamente. E, direi, particolarmente quando sono il frutto di sperimentazioni sul piano teorico e costruttivo che rischiano di impattare contro le tante incognite ambientali e funzionali che caratterizzano il nostro tempo.

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Intervento di manutenzione straordinaria non realizzato (elab. Corriere della sera)

Il Ponte sul Polcevera di Morandi era un capolavoro di Ingegneria che andava osservato e curato con attenzione estrema, ma senza l’esitazione di demolirlo quando il suo deperimento è sembrato inarrestabile.

10 pensieri su “L’undici settembre del cemento armato

  1. Questo è il viadotto Morandi a Genova in costruzione, come si può vedere le due parti del ponte a sbalzo si reggono benissimo anche senza stralli, (o sarà lo spirito santo a tenerle su) quindi non diamo la colpa del cedimento agli stralli è stato altro.

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  2. Io non ho dato colpe a nessuno, tanto meno a Morandi. In questa fase della costruzione, come si vede dalla foto che inquadra il momento di posizionamento dei cavi , le travi a sbalzo sopportano solo il loro peso proprio. Non c’è l’impalcato nè l’asfalto, non ci sono i forti carichi dinamici delle auto. E’ calcolato ed è normale. La costruzione di tutte le strutture sospese avviene così.
    Grazie comunque dell’intervento e della osservazione

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  3. Sbagliate entrambi. L’impalcato c’è, ed è una grossa trave monolitica a cassoni. L’asfalto (e probabilmente anche le auto) sono quasi irrilevanti rispetto al peso proprio.
    Quello che tiene su lo sbalzo è una cospicua serie di cavi provvisionali (tesati), visibili in foto: sono quella linea nera che poggia su dei bassi triangolini in corrispondenza degli appoggi centrali obliqui, e che fanno apparire il lato superiore dell’impalcato come “ingobbito”. Senza quelli e senza gli stralli crollerebbe tutto.

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  4. Grazie della puntualizzazione, che rivela maggiore conoscenza delle procedure di costruzione di questa struttura. Dubito però che il carico dinamico di auto e tir sia irrilevante

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  5. Visto che mi sembrate esperti vi chiedo due curiosità :
    A) l”impalcato cone hanno fatto ad issarlo?
    B) gli strappi sono stati fatti in opera e poi precompressi insieme per evitare torsioni.

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  6. Gentile Nicola, come avevo voluto precisare nell’articolo, sono architetto, ma non ho le competenze da ingegnere e la conoscenza diretta della costruzione del ponte. Non so come sia stata montata la grossa trave monolitica di cui ha parlato il collega “arch” di cui non conosco il nome nè l’indirizzo di posta. Mi auguro ci risponda su queste pagine. Ritengo però che l’intero sistema precompresso degli stralli sia stato realizzato in opera. Ancora grazie a tutti

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  7. Leggendo i vostri interventi sul disastro del Ponte Morandi mi sorgono una serie di considerazioni che non riguardano le responsabilità tecnico-progettuali, manutentive e/o politiche, ma piuttosto i limiti di alcune utopie quando si realizzano nella realtà. Il ponte Morandi è sicuramente figlio delle utopie positiviste della cultura architettonica ingegneristica del dopoguerra: Buckminster Fuller, Yona Friedman, Metabolist, fino a Superstudio e Archizoom anche se l’atteggiamento degli ultimi due gruppi era piu’ critico e meno positivista. Ma immaginare di costruire una autostrada sospesa sopra delle case di abitazione anche se affascinante come immagine avveniristica, fantascientifica forse è una scelta azzardata che richiede una forte assunzione di responsabilità da parte di tutti gli organismi coinvolti (progettisti,politici,gestori pubblici e/o privati) e ancora e poi io mi chiedo ma era proprio necessario che l’autostrada dovesse passare di li? Cosi’ come le utopie delle avanguardie archtettoniche degli anni 60 quando si realizzano diventano: il monulmento continuo, l’IKEA con i suoi magazzini sparsi per il mondo frammenti di quella struttura continua che viaggiava nel territorio, in cui ti senti nello stesso momento a casa e inviaggio, e il sistema del trasporto aereo per cui sali sull’8 a via delle Botteghe Oscure davanti all’ex Rinascita che ora è un Supermercato per turisti, poi prendi il treno per l’aeroporto mangi e fai shopping sali sull’aereo sbarchi a esempio Parigi in un aeroporto identico mangi e fai shopping prendi la navetta senza conducente e poi l’RER e sei al centro hai viaggiato o sei dentro Non Stop City di Archizoom? Non ci sono gli Aborigini che tentano di accendere il fuoco dentro Non Stop City, ma ci sono delle persone che assomigliano a Mohamed Atta il capo della cellula terroristica dell’11 settembre. E si perchè nella realtà l’utopia multiculturalista ipotesi affascinante della sinistra iluminata mostra molti problemi non è facile la sua pacifica realizzazione, stiamo vivendo i disagi che si creano nell’opinione dei piu’ nella vicinanza con etnie diverse, occorre un forte impegno per integrare e convivere con culture diverse. Non sarà facile ma non è stato facile per mia nonna Lucy quando si è alzata in piedi ed ha iniziato il suo viaggio verso la speranza.

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  8. Buongiorno. Un piccolo appunto riguardante gli stralli dell’Ing Morandi. Egli non ha mai studiato un sistema per realizzare stralli in cemento armato anzichè in acciaio. Il citato ponte di Maracaido ne è la prova. Anche nella foto del testo di cui sopra sono chiaramente visibili i fasci di funi di strallatura. Le funi a vista sono state poi sostituite con altrettante funi a viste semplificando i sistemi di fissaggio (per agevolare una futura nuova sostituzione). Questo perchè l’acciao è altresi vulnerabile tanto quanto il cemento. A Genova, per l’estrema aggressività dell’aria circostante Morandi ha protetto i “normalissimi” stralli in acciaio inguainandoli in elementi in cemento precompresso in opera. Purtroppo la protezione in cemento si è rivelata non performante come sperato. Questa tecnologia, è stata impiegata in libia e in altri due suoi ponti strallati oltre ad ulteriori edificazioni in CA dal gusto architettonico molto futuristico. La maggior parte di queste opere sono tutt’oggi impiegate.

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