Le due utopie del Novecento

nel film Capri-Revolution

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Non amo particolarmente i film di Mario Martone, soprattutto gli ultimi, Noi credevamo (2010) e Il Giovane Favoloso (2014), nei quali l’abile “teatralità” del regista napoletano sconfina nell’oleografico e nel retorico, ma ne apprezzo il rigore storico e la professionalità di scrittura e realizzazione, cui si aggiunge una alta qualità delle interpretazioni, della fotografia, del montaggio e della musica.

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E’ il caso anche di Capri-Revolution, in cui Martone, ispirandosi ad una comune dei primi del Novecento guidata dal pittore tedesco Karl Diefenback, precursore di naturismo, animalismo e pacifismo, che si insediò per alcuni anni a Capri, racconta di una giovane capraia che, affascinata dalle trasgressioni di una gruppo di giovani musicisti e danzatori arrivati dal Nord Europa nell’isola, decide di abbandonare il suo stato di contadina per integrarsi nella insolita comunità. Questo “salto di qualità” le consente di apprezzare anche il lavoro del medico condotto, che esercita nell’isola con la stessa passione con la quale manifesta il suo impegno di militante socialista.

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In molti suoi film e soprattutto in quelli di ambientazione storica, Mario Martone, al di là della storia in sé, fa emergere significati meno letterali e più ampi. In Capri-Revolution questo aspetto è più evidente e riscatta la narrazione a volte scontata e l’agire stereotipato dei personaggi. Così è possibile rileggere il film come una rappresentazione della dialettica tra le due grandi utopie del Novecento: quella materialista, costruita sui principi del socialismo, animata dalla fiducia per la modernità e la scienza, e quella libertaria, spirituale ma non religiosa, cultrice delle arti, antiborghese ma pacifista. La prima si incarna nella figura del medico condotto che ospita rivoluzionari russi pronti a combattere per il socialismo; la seconda nella figura del pittore, guida spirituale della comune.

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La parte più suggestiva del film è proprio la discussione tra il medico e il pittore, che esprimono due visioni del mondo, diverse ma non contraddittorie. Il primo crede nella collettività, nel sociale, nella lotta sino alla guerra; il secondo nella natura, nella pratica artistica, nell’amore libero e nella pace. Entrambe le visioni sono eredi dell’Ottocento, la prima del marxismo, la seconda del tardo romanticismo, ma entrambe ne segnano il superamento: la prima perché spoglia la ragione illuminista della sua componente concettuale restituendola alla materialità del sociale; la seconda perché decanta la spiritualità visionaria nell’agire individuale.

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Queste due grandi utopie hanno caratterizzato dapprima la potenza, poi la decadenza del XX secolo: da una parte il socialismo fondato sull’internazionalismo rivoluzionario, sfumato nella democrazia, quindi incrinato dal globalismo; dall’altra il diritto civile pensato per l’uguaglianza e la solidarietà, poi disarticolato nelle contraddizioni planetarie tra ricchezza e povertà. Hanno resistito a due guerre mondiali e si sono incontrate in alcuni momenti topici, come la costituzione dell’ONU, la caduta della cortina di ferro, la formazione dell’Europa Unita. Ma alla transizione del millennio rischiano di crollare sotto l’onda d’urto di uno sviluppo insostenibile, che trasforma il progresso tecnologico e la fiducia per la scienza in paura per il futuro e indifferenza alla conoscenza.

4 pensieri su “Le due utopie del Novecento

  1. Caro Umberto, confesso che mi è piaciuto più leggere il tuo commento e la tua analisi del Film che vedere il film stesso che, è vero che cerca di dire quello che tu hai raccontato, ma lo fa in maniera a volte noiosa e ripetitiva. Stefano

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  2. Mi ricordo che in un altra isola del Mediterraneo, negli anni 70 del novecento, villeggiava un gruppo di: Artisti, Ambientalisti, socialisti……..………

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