NON-ÉLITE vs ÉLITE

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Ha fatto molto discutere, pochi mesi dopo l’uscita del suo libro The Game, un articolo di Alessandro Baricco dal titolo E ora le élite si mettano in gioco, pubblicato sulle pagine de La Repubblica il recente 11 gennaio. Si è aperto un ampio dibattito cui hanno partecipato, giornalisti, scrittori, lettori. Proverò a scrivere anch’io qualcosa in proposito, parlandone e commentandolo.

La definizione di élite è argomento scivoloso perché contiene due significati almeno in parte contrapposti: uno positivo in quanto riconosce, nel raggruppamento di individui cui è riferito, una distinzione di autorevolezza e merito che comporta una assunzione di responsabilità; l’altro, conseguente a questo, che ne evidenzia la posizione di privilegio, con più onori che oneri. Ne consegue che, pure essendolo, spesso le élite preferiscono negare di esserlo. Inoltre le élite in genere non sono tali a tutto-campo, nel senso che il merito e la condizione di privilegio, quindi il potere che ne deriva, è circoscritto ad uno specifico ambito che di volta in volta può essere la politica, la cultura, la professione, il commercio, lo spettacolo, lo sport, ecc…

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Ovviamente le élite sono minoranza e il resto – la gente – è maggioranza. Pensiero comune è che la gente nei confronti delle élite soffra più di frustrazione che di ammirazione. Questo disagio si trasforma in opposizione o conflitto quando il privilegio della élite supera un certo limite oppure quando la élite sbaglia o crea problemi. L’aggregazione di più élite può diventare una somma di privilegi ancora più forte e allora il termine di identificazione diventa “la casta”. Parola oggi molto in voga in un certo ambito di comunicazione politico-giornalistica.

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Baricco parte da qui, dalla contrapposizione tra élite e tutti gli altri, ovvero tra élite e nonélite. Questa condizione senza mediazione tra due uniche parti in causa viene considerata universalmente, ma con attenzione alle ricadute sulla situazione italiana. In sostanza, secondo la semplificazione dello scrittore, una minoranza compatta, chiusa su se stessa e in possesso di tutti gli strumenti culturali e politici ha governato a lungo in virtù del consenso e della delega di una maggioranza disgregata e consapevole dei suoi limiti. Ma ha commesso errori, troppi, e ad un certo punto il patto è saltato e la nonélite ha tolto la delega alla minoranza élite. Baricco spiega le ragioni della rottura del patto e ne illustra le conseguenze. Infine, con un salto che sorprende il lettore, spiega che senza cultura il fallimento del tentativo insurrezionale è inevitabile. Così lo scritto si conclude con la speranza che intervenga una élite rigenerata dalla padronanza dei mezzi di comunicazione digitale, affidata alle intelligenze del Game, consapevole degli errori fatti e animata dalla volontà di ritrovare una deriva di giustizia ed eguaglianza.

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Cerco di commentare lo scritto nel dettaglio a partire dalla definizione di élite, che per Baricco sostanzialmente coincide con l’intero mondo delle professioni, dei dirigenti di azienda, dei politici, dei giornalisti, degli scienziati, dei ricercatori, degli artisti, dei preti, insomma delle persone che hanno studiato, sono impegnati nel sociale, sostengono il merito e la cultura, sono equilibrati, ragionevoli e amano il loro paese, ecc… Bene, come quasi tutti i lettori dello scritto, mi sarei immediatamente riconosciuto in questa élite se Baricco non avesse poi aggiunto che i componenti la élite sono anche ricchi e potenti, sono di destra e di sinistra e ciechi davanti alle ingiustizie che tengono in piedi. Colgo qui un eccesso di approssimazione, forse dovuto a quel male endemico che colpisce l’intellettuale di successo: il complesso di colpa.

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Gli risponde indirettamente il filosofo Emanuele Coccia, intervistato (sempre su La Repubblica) da Paolo Di Paolo: “le élite odierne non sono vere élite, non riescono a guidare nulla. Non sono ai posti di comando dello Stato né dell’economia. Si tratta di gruppi sociali o aggregazioni culturali eteroclite, spaventate e indebolite da cambiamenti di cui nessuno, in questo momento, è in grado di misurare la portata…”.

Ed è vero. Il grande cambiamento che si è verificato in questi ultimi venti anni poggia su due fenomeni globali: la progressiva caduta della supremazia economica dell’occidente e la rivoluzione digitale. Fenomeni che non si sono ancora conclusi, ma che hanno portato alla più pesante crisi economica dei tempi moderni e alla radicale modifica del mercato del lavoro, con la prospettiva di cicli endemici di recessione almeno in Europa e del consolidamento della egemonia dei paesi asiatici. All’economia di produzione e di scambio si è sostituita la speculazione finanziaria, agile a muoversi nelle instabilità economiche e nei debiti sovrani, mentre la rivoluzione digitale e la conseguente automazione industriale impongono nuovi investimenti e professioni che non tutti i paesi sono in grado di avviare tempestivamente. Il risultato è l’aumento delle ingiustizie sociali con una forbice ancora più aperta tra ricchezza e povertà. Nel mondo innanzi tutto, ma anche nei singoli paesi delle democrazie occidentali.

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Ma torniamo alla parte più stimolante e condivisibile dell’articolo di Baricco. La nonélite, che aveva sempre accettato la supremazia della élite (intesa nella accezione più generale e inclusiva) e le aveva in qualche modo lasciato privilegi e perdonato errori sperando in una migliore qualità della vita, cadute le illusioni e soffrendo nuove rinunce, si è sentita truffata. Ha ritenuto fosse non solo responsabile dei propri guai, ma anche astuta nel difendere o incrementare i propri privilegi. In una sorta di rivoluzione estrema ma incruenta (almeno in Italia) la nonélite ha mandato in frantumi il patto di fiducia con la élite, distruggendo tutti i valori che lo avevano tenuto in essere, innanzi tutto quello culturale. L’arma dell’insurrezione, semplice ma letale, è stato il device digitale. Con gli smartphone è stato possibile accedere a tutte le informazioni senza il filtro dei grandi organi di stampa, comunicare con chiunque senza soggezione, dichiarare anche brutalmente la propria rabbia, esporre valori e desideri individuali. In più, con pochi tocchi di mouse del computer, è possibile accedere ad informazioni un tempo nascoste nei misteri del sapere tecnico-scientifico. Come scrive Ezio Mauro (sempre su La Repubblica) “ognuno si sente autorizzato a pensare per sé, sciolto dai vincoli del sociale, libero non in quanto capace di esprimere al massimo le sue facoltà e i suoi diritti, ma in quanto liberato da ogni obbligazione di comunità nei confronti degli altri”. Tutto questo al momento del voto si è tradotto in un no strillato contro ogni sapere consolidato, in una furia iconoclasta contro tutto e contro tutti, azzerando anche le divisioni politiche storiche e le tradizioni della democrazia. Vince chi convince di non essere élite. Almeno in apparenza.

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L’Unione Europea di questi anni, prosegue Baricco, è stata l’espressione massima della élite internazionale, che, trovatasi sotto attacco, si è irrigidita sulle proprie certezze e non ha capito le tre ragioni della insurrezione: la prima nella mancanza di giustizia sociale e distribuzione della ricchezza; la seconda nel pensiero unico continuamente riproposto, there is No Alternative – precisa lo scrittore – che era la sostanza dei ragionamenti che partivano dai suoi vertici; la terza nella incapacità di capire la rivoluzione digitale, avviata dall’élite come business senza rendersi conto che stava allevando la sua peggiore nemica.

Nella parte conclusiva, Baricco cerca di capire cosa è accaduto o può accadere da quando la nonélite ha deciso di fare da sola. E qui il ragionamento si ribalta, passando dalla narrazione di una rivolta ampiamente motivata alla previsione del suo fallimento. L’errore della nonélite è quello di negare il valore della conoscenza. Aperta la breccia nel campo opposto, la nonélite si è fermata ad un modo di pensare elementare, sospeso tra “urlo da mercato e slogan pubblicitario”. Più brucia anni di civiltà, più si fa del male, “… perché – scrive Baricco – il mito di un accosto diretto, puro e vergine alle cose, opposto all’andatura decadente, complicata ed anche un po’ narcisistica della riflessione colta, è una creatura fantastica che ci abbiamo messo secoli a smascherare: recuperarla sarebbe da dementi…”. Insomma tra élite e nonélite non vince nessuno e la disfatta è totale.

La caduta pessimista sembrerebbe assoluta se l’articolo non si concludesse con uno sguardo positivo di speranza per la formazione di una nuova élite – una élite pentita e digitale? – che dovrebbe unificare (un po’ ingenuamente a mio avviso) i caratteri delle due parti che si contendono il potere. Allora l’invito è di mettersi al lavoro per ridistribuire la ricchezza e creare equità sociale, buttare via il PIL e sostituirlo con altri parametri di crescita, ridefinire i concetti di progresso e sviluppo, superare il pensiero unico; ma anche tornare a fidarsi di coloro che sanno, investire nella cultura e nella formazione, sviluppare l’accoglienza e accettare le immigrazioni, applicare meritocrazie senza umiliare chi non arriva primo, non esprimere mai disprezzo né risentimento. Insomma pensare e riflettere.

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Seppure nella oscillazione di pensieri che riflette le contraddizioni di un tema difficile, lo scritto di Baricco è acuto e stimolante. Ma ci sono alcune cose che sulle quali dissento. Ho già anticipato la forte semplificazione che esclude posizioni intermedie tra élite e nonélite. Faccio mio lo slogan più volte citato there is No Alternative, con un significato più ampio: se come ipotesi viene assunto lo scontro tra sole due parti in causa e di entrambe le parti si segnalano pochi meriti e molte colpe, è inevitabile che non ci siano alternative se non la disfatta totale oppure una sorta di mediazione che annulla il conflitto. E questo mi sembra abbastanza irreale. In realtà le parti che si scontrano non sono solo due e la realtà è più complessa. Come si fa a non riconoscere l’esistenza di un campo sociale, forse sfumato tra élite e nonélite, ma riconoscibile come portatore di istanze che poi sono quelle che Baricco elenca alla fine del suo scritto? Come si fa a non vedere come la figura dell’intellettuale oggi non sia più quella novecentesca forgiata sulle certezze del XIX secolo, aperta alla fiducia per la modernità, poi tradita da uno sviluppo insostenibile e un falso progresso? Il benessere concesso all’insegnante, allo studioso, al ricercatore scientifico, al giornalista, all’artista forse è ricchezza e potere? Costoro sono élite o nonèlite? Certamente è una media borghesia (se ha senso usare ancora questo termine) minoritaria, disomogenea e contraddittoria (insieme a loro tanti altri: professionisti, piccoli imprenditori, giovani disoccupati, ecc…), ma che non urla e non ragiona per slogan, ma vomita quando vede una nave di profughi senza un porto o quando sente un ministro dire che un latitante arrestato deve marcire in galera. E se parla di fake news, populismo e pericolo fascista non è – come sostiene Baricco – perché vuole etichettare la nonélite che insorge, ma perché il pericolo esiste ed è davanti a noi.

Insomma penso che esistano parti civili (più che sociali) che forse sono le vere vittime dello scontro tra elite e nonélite e che non hanno rappresentanza né fuori né dentro la comunicazione digitale. Costoro da una parte hanno pochi privilegi (la cultura o il lavoro che nasce dallo studio, dalla ricerca e dal merito non è un privilegio), dall’altra la consapevolezza di contraddizioni planetarie che non trovano risposte. Nell’ultima colonna del suo scritto Baricco scrive che occorre “smetterla di dare alla politica tutta l’importanza che le diamo: non passa da lì la nostra felicità”. Non capisco cosa lo scrittore intenda per “politica”, ma non accetto questa affermazione, anzi la ritengo offensiva per chi è ben consapevole come ogni atto del nostro agire civile sia un atto politico. Forse la felicità non passa dalla politica, ma l’agire politico la può anche costruire lentamente giorno dopo giorno.

italia futura

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