
potrebbe contenere spoiler
Sono passati otto anni dall’uscita de Il Figlio di Saul, un film durissimo di László Nemes, che parlava dell’olocausto nel campo di Auschwitz, senza inquadrare mai direttamente l’atto dell’assassinio né i corpi, perché – come allora avevo scritto – l’orrore è letto negli occhi del protagonista che a tutto assiste, inquadrato quasi sempre solo in primo piano. Nessun effetto facile, nessuna concessione, nessuna consolazione in una tragedia della follia umana raccontata attraverso l’abisso che separa la pietas di Saul dalla malvagità dei nazisti (https://umbertocao.com/2016/03/16/elegia-della-pietas/). Ma la visione di un altro film, La Zona d’Interesse di Jonathan Glazer riporta, anzi, trascina in una dimensione in cui l’atrocità dei massacri è ancor meno visibile, ma tanto più disturbante.

Il dispositivo narrativo messo in atto nasconde dietro un muro di cemento le atrocità naziste, appena svelate – sullo sfondo di scene quasi sempre in campo largo – dai fumi delle canne fumarie o dalle ceneri sversate nel fiume. Ma la cosa più atroce, che costituisce la terribile forza del film, è che lo stesso muro accoglie, sul fronte opposto, la vita gioiosa della famiglia del comandante degli aguzzini, tra fiori, orti, piscina, bambini felici e una casa grande ed accogliente costruita dentro un incantevole paesaggio.

Dunque, l’olocausto non è descritto, ma raccontato attraverso il suo opposto: la normalità di una vita familiare nel lusso. A questa si accompagna un’altra “normalità”, quella con la quale gli ufficiali della SS gestiscono i problemi logistici, organizzativi e tecnici dello sterminio, quasi fosse una ordinaria questione industriale. Queste due “normalità” generano una frizione stridente, tanto quanto la musica che l’accompagna, sconvolgendo lo spettatore. Forse mai ho avvertito ancora vivo nella nostra cultura occidentale il dramma della shoah come durante la visione di questo film. Il film inizia con alcuni minuti di nero e toni musicali dissonanti e finisce con il protagonista, comandante del campo di sterminio, che, tra conati e rigurgiti, scende rampe di scale sino a trovarsi nel buio assoluto. La shoah è nascosta nel buio e le sue voci disperate insieme ai suoi macabri rumori sono abbattute da una musica altrettanto feroce che inquieta e stordisce. Nel buio compare solo il “negativo” della storia, ovvero una giovane contadina che, in un paesaggio ora nero, semina mele indicando un cammino per la salvezza.

