ROMA: FERROVIE URBANE E TERRITORIO

Roma, PUMS 2023: scenario generale della mobilità

La visione della città del XXI secolo, che hanno troppo spesso gli urbanisti e gli architetti, è quella di una regione urbanizzata, in cui gli elementi urbani- uffici, abitazioni, teatri, ristoranti-che erano un tempo densamente raggruppati a distanza comodamente pedonale uno dall’altro, saranno sparpagliati su di un vasto territorio, collegati da una rete di autostrade, e accessibili solo all’automobile privata. Si cita spesso Los Angeles come prototipo di tale città. Questo è l’incipit di un saggio scritto dall’urbanista inglese Brian Richards sessanta anni fa (New movements in cities, Copyright 1966, Studio Vista, London).

1. E. Henard, sezione urbana – 2. Le Corbusier, citta su più livelli – 3. Vienna, Karl Marx Hof

La mobilità come “futuro del presente”

Dunque – ci siamo – oggi viviamo la città del futuro ed effettivamente la profezia si è avverata, fatta eccezione per l’automobile, che, moltiplicata oltre ogni previsione, è diventata la negazione stessa della mobilità in quasi tutte le metropoli. Inoltre, le distanze sono diventate tali da confermare il pensiero del filosofo Jean Paul Fitoussi: in ogni epoca le città sono state caratterizzate da quartieri ricchi e quartieri poveri; ma la segregazione non subentra se non nel momento in cui la mobilità tra queste realtà viene ridotta o impedita. Il diritto alla mobilità e le soluzioni per progettarla e realizzarla sono componenti strette dell’urbanistica. Ce lo hanno insegnato i maestri del XX secolo, da Eugene Henard a Le Corbusier con i loro progetti visionari per le metropoli del futuro in cui le diverse modalità di trasporto e collegamento scorrevano su livelli diversi. Nella Vienna socialista tra le due guerre mondiali, le grandi urbanizzazioni residenziali, con i quartieri popolari Siedlungen (a bassa densità) ed Höfe (concentrati in un unico edificio), venivano realizzate dentro la città già infrastrutturata e quasi sempre accanto alle stazioni dei treni. Le principali città del mondo accompagnavano lo sviluppo urbano con reti di ferrovie metropolitane sotterranee o sopraelevate. Sul finire del secolo, lo stesso fenomeno dello sprawl con la diffusione degli insediamenti nel paesaggio – quella che è stata chiamata “città diffusa” – impegnò urbanisti e paesaggisti a considerare le infrastrutture della mobilità, e, in particolare, quelle ferroviarie, fondamentali per la qualità e funzionalità dell’abitare in nuclei urbani distanti tra loro. Anche le stazioni hanno iniziato a trasformarsi: da quelle monumentali costruite come emergenze urbane si è passati a considerarle nodi di scambio nei centri minori e strutture direzionali plurifunzionali nelle grandi città.

Hochbahn di Berlino (foto di Pedelecs by Wikivoyage e Wikipedia)

Cenni di una storia con molte idee e pochi fatti

Roma invece, mentre cresceva ingolfandosi sempre più, è rimasta ferma per decenni alla parziale realizzazione mussoliniana della linea metropolitana B, per ragioni che sarebbe non solo riduttivo, ma anche risibile, addebitare solo alla condizione archeologica del suo territorio. Nel PRG di Roma del 1962 per alleggerire la pressione sul centro storico e al tempo stesso riqualificare la periferia sud-est, era stato previsto l’Asse Attrezzato, un sistema lineare continuo di infrastrutture che collegavano nuovi centri direzionali; dopo venti anni di dibattito culturale e politico fu semplificato e alleggerito con il nome di Sistema Direzionale Orientale; ma anche questo è rimasto sulla carta.

Roma, PRG 1962, un sistema direzionale ancora affidato all’automobile

Verso la fine degli anni Ottanta, all’interno di un gruppo universitario di ricerca guidato da Carlo Chiarini studiammo la possibilità di creare un sistema policentrico, sempre sul versante sud-est della città analogo a quello del SDO, ma fondato sulla ferrovia, che aveva i suoi poli nelle stazioni Trastevere, Ostiense, Tuscolana e Tiburtina. Queste, da semplici stazioni ferroviarie, dovevano diventare edifici complessi multifunzionali al servizio della città (cfr L. Altarelli, U. Cao, C. Chiarini, M. Del Vecchio, L. Ferretti, S. Petrini, La stazione e la città, Gangemi, 1990, Roma).

Gruppo Chiarini (1990). Due pagine della ricerca con i nuovi progetti delle stazioni

Siamo così arrivati, negli anni Novanta, alla “cura del ferro” di memoria rutelliana, che,  a partire dalla nuova linea A (faticosamente realizzata a tratte dal 1963 in poi, e completata per il Giubileo del 2000), attivò l’utilizzo per il trasporto urbano di binari e linee locali che scorrevano lungo la doppia circonvallazione ferroviaria, con l’impegno a chiuderla in forma di anello. Questa ipotesi apriva uno scenario nuovo nel quale, oltre a integrare le due diverse linee del ferro, si potevano ripensare le stazioni ferroviarie che costituivano i terminali delle linee regionali come parti di un sistema policentrico di riqualificazione urbana. Occorreva però un ripensamento delle tipologie tradizionali delle stazioni superando il tradizionale ruolo funzionale (partenze/arrivi dei viaggiatori) per relazionarle alla città con servizi ed attrezzature pubbliche. In questo clima  nacque, ad esempio, l’idea della “stazione ponte” come connessione di diversi ambiti urbani, che oggi caratterizza la Nuova Stazione Tiburtina del gruppo ABDR, aperta nel 2011.

ABDR Architetti Associati. La Stazione Tiburtina

Nella stessa logica è il cosiddetto “Anello Verde”, che l’amministrazione precedente di Roma Capitale – assessore alla Urbanistica era Luca Montuori – propose sul finire della consiliatura come piano di trasformazione urbana nelle aree residuali dell’anello ferroviario e dei territori vuoti del Sistema Direzionale Orientale. Il sistema aveva come punto di forza la realizzazione di infrastrutture per una mobilità imperniata sul trasporto pubblico prevalentemente su ferro e sulla ristrutturazione delle stazioni ferroviarie che ne costituivano i poli centrali (cfr Anello Verde ). Per quanto arrivata tardi, studiata in linea di massima e poco verificata, era, a mio avviso una proposta interessante. L’attuale amministrazione non sembra averla ripresa, se non per alcuni aspetti specifici.

Assessorato Urbanistica di Roma Capitale (2020). L’Anello verde

Stazioni e territorio

Se sono ormai almeno trent’anni che si parla di una rigenerazione urbana fondata sul ferro e sulle stazioni come strutture di servizio, oggi, grazie alla tecnologia, è possibile la totale integrazione della rete ferroviaria regionale FS – ma, io aggiungo, anche delle altre linee in concessione – con la rete delle linee metro. Però, oltre ai risolvibili problemi tecnici che riguardano convogli, velocità e frequenze, le ferrovie FS e regionali per trasformarsi in linee metropolitane hanno bisogno di adeguati intervalli tra stazioni, calibrati secondo la densità edilizia, quando entrano all’interno dell’area urbana.

Ipotesi delle nuove stazioni (da uno studio sulle ferrovie metropolitane di Claudio Cipollini, Giovanni Costa, Michele Mario Elia, luglio 2023)

Considerando il dibattito urbanistico di questi anni dopo il fallimento della “zonizzazione” per aree monofunzionali cui ha fatto seguito la crisi del PRG come strumento di controllo delle trasformazioni urbane, l’indirizzo ampiamente condiviso che compendia i problemi di mobilità con l’emergenza ambientale oggi è quello di ridurre gli spostamenti individuando parti urbane come micro-città, compiute secondo la loro dimensione in termini di autosufficienza di servizi e attrezzature pubbliche; mentre alle reti infrastrutturali, principalmente quelle su ferro, spetterebbero le relazioni tra loro e con i grandi servizi urbani. Su questa ipotesi generale, si innesta l’idea della “città dei quindici minuti”, ovvero la possibilità di raggiungere a piedi o con mobilità dolce i servizi fondamentali (istruzione, cultura, tempo libero, sport e attrezzature commerciali) e con altrettanti pochi minuti, con il trasporto pubblico, i servizi di carattere urbano. Dunque si apre un controverso dibattito sia in campo urbanistico che politico: da una parte il concetto di autosufficienza delle parti urbane, dall’altra il rischio di isolamento e ulteriore emarginazione. In ogni caso, però, le nuove stazioni da posizionare lungo le tratte urbane delle linee ferroviarie regionali, possono costituire una straordinaria occasione di riqualificazione urbana, anche per rispondere alla domanda di servizi dei territori attraversati, soprattutto nelle grandi periferie romane oltre il Raccordo Anulare.

Segue uno studio di massima delle stazioni – esistenti e nuove – delle attuali linee ferroviarie FS e in concessione all’interno dell’area abitata, intese come metropolitane di superficie e in rete col sistema delle linee metro e tram – esistenti o previste – nel programma comunale , con i relativi raggi di influenza sul territorio raggiungibili entro i 15 minuti a piedi

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