COMUNITÀ ITALIA, Architettura/Città/Paesaggio 1945-2000
Una Mostra alla Triennale di Milano, 28/11/2015 – 06/03/2016
Sino a qualche anno fa nella comunità degli architetti si è discusso molto sulla esistenza o meno di una “identità italiana” della Architettura contemporanea. Alcune iniziative italiane ed europee hanno affrontato il tema. La più recente (2012) è stata la mostra curata dal direttore del settore Architettura del Centre Pompidou, Frédéric Migayrou, “La Tendenza. Architectures italiennes 1965-1985”, che con una certa approssimazione aveva identificato nel termine “tendenza” una pluralità di espressioni architettoniche in realtà non sempre omogenee, accomunate forse dal riferimento ad un unico grande maestro, Aldo Rossi. Venti anni in cui in Italia molto si progettava e disegnava, ma poco si costruiva. Forse proprio per questo l’intensità teorica sulla composizione architettonica e urbana era stata tanto forte da trascinare le esperienze italiane a pieno titolo nelle pagine delle riviste, nei temi di dottorato universitario, nei convegni internazionale e nelle mostre.
La Mostra curata alla Triennale di Milano da Alberto Ferlenga e Marco Biraghi e supportata da moltissimi collaboratori, con coraggio estende la rassegna all’intero dopoguerra. Dopo una introduzione cronologica estesa a tutte le dinamiche politiche e culturali del paese, la mostra invade su due livelli un ampio spazio del Palazzo dell’Arte di Muzio, avvolgendo il visitatore in un intenso percorso scandito attorno ai più significativi temi di Architettura, Città, Paesaggio, Recupero, Costruzione, ecc… ed esplicitato in una molteplicità anche contraddittoria di linguaggi architettonici. L’esito finale – dichiarato anche dagli autori – è di una lunga, articolata e sofferta esperienza che rifletteva la complessità e la conflittualità di anni nei quali l’Italia malmessa dell’immediato dopoguerra cercava una nuova dignità culturale. Attraversando il miracolo economico, il sessantotto, il terrorismo e tangentopoli, anche l’Architettura si muoveva nella perenne ed irrisolta tensione tra spinte conservatrici e innovazione. “L’architetto italiano di quegli anni è stato una figura composita”, scrivono gli autori nell’introduzione al catalogo, dunque non poteva che essere fortemente discontinua e contraddittoria la mostra che presenta le loro opere.
Forse il visitatore giovane proverà un certo disorientamento nel vedere accostati disegni, plastici e foto che rappresentano linguaggi architettonici lontani e talvolta opposti; per il meno giovane, questo invece è un suggestivo, quasi commovente, album di ricordi.