parte prima: attraversando la Persia di oggi

Arrivando in Iran e percorrendo le strade delle città colpisce la cura per la cosa pubblica: la carreggiata per le auto è conclusa da un doppio cordolo entro il quale scorre un piccolo canale di acqua di compluvio. Segue una aiuola fiorita e poi il marciapiede. L’acqua è preziosa in Iran e la rara pioggia viene raccolta e accompagnata sino fuori dalla città ad irrigare i campi coltivati. Proprio come accade nelle moschee, nelle madrase e nei giardini e come accadeva un volta con i canali sotterranei (quanat) scavati in profondità con il coraggio delle braccia e la precisione della trigonometria. Le strade, così, sono piene di fiori e ricche di colori di giorno, ma anche di notte, quando si accendono luminarie verdi, bianche e rosse che ripropongono il tricolore della bandiera nazionale. Le città, anche quelle più povere, anche nei quartieri coinvolti da mercati e bazar, sono tenute pulite; le splendide moschee restano aperte ai turisti che vengono accolti con garbo e simpatia.
Gli 80 milioni di Iraniani sono un popolo gentile, forte di una grande tradizione culturale, ma rinchiuso entro confini caratterizzati da una difficile condizione geopolitica: ad ovest l’Iraq e la Turchia; a nord l’Armenia, l’Azerbaigian e il Turkmenistan; ad est l’Afghanistan e il Pakistan. Guerra e terrorismo la minacciano dall’Iraq e dall’Afghanistan; al di là del Golfo Persico Arabia Saudita, Emirati e Oman hanno forte consistenza sunnita e non sono considerati popoli amici; il traffico di droga l’attacca dall’Afghanistan, che produce il 90% dell’oppio puro di tutto il mondo.
Quella della droga è un guerra vera, lunga 35 anni, che causa la morte di circa 100 soldati iraniani l’anno. I narcotrafficanti, armati di cingolati ed elicotteri, cercano di arrivare in Turchia e nei Balcani dove l’oppio viene raffinato e trasformato in eroina ad uso dell’Occidente. Dunque l’Iran non combatte la droga come pericolo interno (alcol e droga nel paese non sono un problema), ma per evitarne il transito diretto fuori dai suoi confini. L’ONU è consapevole dell’impegno dell’Iran contro la droga, molto meno i paesi occidentali, per quanto ne siano i destinatari finali. Ci è stato raccontato che un comandante dei pasdaran, stanco di perdere i suoi uomini, aveva proposto al governo di isolare i trafficanti accompagnandoli ai confini nord-ovest del paese. Una ipotesi subito esclusa, ma sintomatica del problema.

L’Iran è chiuso ed isolato non solo da una geografia scomoda (tra l’altro più della metà del suo territorio è fatta di deserto e montagne), ma anche da gran parte del mondo, che lo teme come unico paese del medio oriente che rifiuta l’egemonia economico-politica dell’occidente. Proprio in questi giorni Trump – perseguendo la sua forsennata politica internazionale – ha rotto l’accordo firmato da Obama sugli armamenti atomici riproponendo le sanzioni e Netanyahu ha aumentato la sua pressione raccontando di presunti armamenti atomici iraniani. L’Iran, anzi, la Persia, ha una storia di millenni, fatta da popoli e dinastie in guerra, assassinii e tradimenti moltiplicati da una mitologia tanto eroica quanto complicata. Ma secondo l’interpretazione sciita del Corano la guerra è giusta solo se in difesa (jihād difensivo). Oggi l’Iran, che tendenzialmente vuole dialogare con l’occidente, subisce minacce di guerra da Stati Uniti e Israele, ma anche da Arabia Saudita; minacce e sanzioni che non sembrano spaventare il paese, ma ne acuiscono l’orgoglio patriottico e religioso. Così la sensibilità per la propria millenaria storia insieme ad una fede religiosa spinta sino all’intimo delle coscienze, amplificata dall’isolamento territoriale, commerciale e culturale, determina un nazionalismo estremo, difficile da capire per noi cittadini d’Europa, pacificati nella controversa realtà dell’Unione Europea.

L’Iran, chiuso ad Occidente, si proietta commercialmente ad Oriente. Il futuro sembra essere il ripristino della “via della seta” da e verso la Cina e le Indie. L’Iran investe sul sistema infrastrutturale terrestre (autostrada e ferrovia) come su quello marittimo attraverso il Golfo Persico. Il sistema degli scambi commerciali e della loro gestione inevitabilmente condiziona le relazioni tra Iran e i paesi del Golfo in un complesso e contraddittorio gioco di alleanze e conflitti. Basti pensare al Qatar sunnita, strategico nel Golfo, che acquista armi dagli Stati Uniti, già alleato dell’Arabia Saudita insieme ad Oman e Yemen, ma oggi appoggiato da Russia Turchia e Iran.

Ma rispetto alla cultura politica occidentale la questione più divisiva che emerge percorrendo l’Iran e incontrando esponenti del mondo culturale e religioso, resta il sistema islamico di governo, ovvero l’integralismo religioso. E’ una diversità profonda, lontana dal laicismo consolidato delle democrazie occidentali fondate sulla separazione tra potere temporale e potere spirituale; ma è una diversità anche di carattere teologico tra Cristianesimo e Islamismo: nella prima Dio si è fatto uomo assumendone forza e debolezza; nella seconda Dio è assoluto e trascendente. Così nella cultura occidentale l’etica esprime il suo valore anche nel libero arbitrio e nei limiti dell’uomo; al contrario nella cultura musulmana l’etica dell’uomo è incompiuta e solo quella di Dio, scritta nel Corano, è perfetta.

In Iran ci è stata raccontata la “parabola dell’elefante” del poeta Gialal al-Din Rumi: “il governatore di una città comprò un elefante e lo mise all’interno di un palazzo spegnendo le luci. Poi chiamò i notabili della città e disse: – entrate nella stanza, toccate e ditemi cosa è – . Entrò il primo, toccò il piede dell’elefante e disse. – è una colonna! – . Poi entrò il secondo, toccò la proboscide e disse: – è un serpente! – .Quindi entrò un terzo, toccò le orecchie e disse. – sono tende! – Infine l’ultimo toccò la coda e disse: – è una fune! – Ognuno di loro ebbe una idea imperfetta e falsa dell’elefante; solo la luce, cioè Dio, ne avrebbe consentito una visione perfetta e reale. L’unica assoluta verità è quella di Dio”. Questo scrive il Corano e questa è la legge.

Come sappiamo nel 1979 scoppiò la ribellione contro il regime dello Scia. La rivoluzione iraniana guidata da Khomeini, trasformò l’Iran da monarchia assoluta a repubblica islamica fondata su una costituzione teocratica approvata dal 99% dei votanti. Da allora l’Iran ha un parlamento eletto, un governo e un presidente cui è affidato il potere esecutivo, distinto dal potere giudiziario. Ma un religioso, un ayatollah sciita profondo studioso del Corano chiamato “Guida suprema”, ha il potere di veto sulle decisioni del governo, valutandone l’etica e la validità. Inoltre è il comandante in capo delle forze armate, ovvero ha il potere di decidere su guerra e pace. La “Guida suprema” viene nominata a vita dalla “Assemblea degli esperti” composta da 86 religiosi, studiosi islamici eletti a suffragio universale, che possono anche esautorarlo. A sua volta la “Guida suprema” nomina il “Consiglio dei guardiani” che lo assiste nel controllo del potere esecutivo sulla base della costituzione e delle leggi coraniche. Per noi occidentali questa non è vera democrazia. Ma è legittimo confrontare sistemi di governo maturati in contesti che hanno storia, tradizioni, religioni e culture profondamente diversi? (continua)
