Nel posto sbagliato e nel momento sbagliato

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Ho avuto la fortuna di vedere un paio di mesi fa la serie completa de “The Night Of” in anteprima, ma, uscito il primo episodio su SKY, ho iniziato a rivederla. Non mi era mai capitato. Ci son tre ragioni per dichiarare questa serie televisiva – ideata, scritta e realizzata per HBO da Richard Price e Steven Zaillian, e interpretata principalmente da John Torturro, Riz Ahmed, Bill Camp, Sofia Black D’Elia, Peyman Moaadi e Poorna Jagannathan – la migliore serie uscita nel 2016 e forse una delle migliori in assoluto.

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La prima ragione è che sceneggiatura, interpretazione e regia concorrono a definire una prodotto senza scompensi che cattura lo spettatore dall’inizio alla fine (sono 8 episodi, quasi nove ore di montato). La seconda è che l’interpretazione di Torturro è di per se uno spettacolo. La terza è che il film disvela la vera natura dei distretti di polizia e del carcere giudiziario degli States, con i comportamenti di poliziotti, commissari e avvocati che escono dagli schemi consueti del cinema di genere.

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Eppure il soggetto non è nuovo: l’imputazione di un giovane per un delitto nel quale è stato coinvolto casualmente. E la serie stessa ha conosciuto un iter travagliato prima di essere realizzata e diffusa. Ma basta vedere l’episodio pilota (più lungo dei successivi) per capire che ci si trova davanti ad un prodotto di ottimo cinema. Questo primo episodio viene sviluppato quasi in tempo reale, immerso nel colore livido (una fotografia desaturata e  “virata” su una tonalità grigio-petrolio di grande effetto) di una notte a New York, tra Qeens e Manhattan. Colore non diverso da quello delle pareti del distretto di polizia e delle sbarre dietro le quali il giovane pakistano viene rinchiuso con l’accusa di omicidio. A partire dalle ingenuità del protagonista e le coincidenze di una disavventura notturna, la storia si dipana senza eroi e senza pietà: dal distretto di polizia di Chelsea, pervaso da una accidia che accomuna poliziotti e spacciatori, al carcere giudiziario popolato dalla ferocia che accomuna guardie e delinquenti; dagli spazi domestici della comunità pakistana, povera ma dignitosa, sino al tribunale nel quale il giovane pakistano conoscerà la sua sorte.

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L’intera serie si presenta con un montaggio impeccabile e una fotografia tutt’altro che autoreferenziale. Il suono , in presa diretta o in postproduzione, si avvale di rumori più che di musica: il rimbombo nel distretto di polizia e nelle celle, il cigolio delle porte metalliche di sicurezza, le saracinesche che si aprono e chiudono, i rumori sordi della metropoli, i toni musicali bassi,  tutto magistralmente fuso ed equilibrato.

Un’ultima cosa: vedetela in lingua originale con sottotitoli

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