25 Aprile, perchè non mi emoziono più?

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Quest’anno, il 25 aprile, ricordando il giorno della liberazione dal nazifascismo, non mi sono emozionato. Ho guardato con distacco le immagini delle manifestazioni celebrative, locali e nazionali. Mi ha dato fastidio la notizia della incompatibilità tra chi ricordava la ritrovata libertà dal fascismo insieme al problema palestinese e chi invece si stringeva solo attorno al popolo ebraico, principale vittima degli eccidi. Infine ho provato disgusto per le contestazioni rivolte a chi sfilava in ricordo anche della Brigata Ebraica.

Ma forse la ragione prima di questa mia imprevista distanza emotiva è stato il carattere di rituale consuetudine che come una enorme e spessa coperta nascondeva il grave stato di decadenza dei valori che la Liberazione dal nazifascismo aveva rilanciato 72 anni fa. Allora i ruoli erano chiari: una lotta del “Bene” contro il “Male” a metà di un secolo di ottimismo e di speranza in nome di un progresso tecnologico, sociale, artistico e culturale, che doveva aprire le porte all’imminente nuovo millennio.

Vinse il “Bene” – almeno così sembrò –  e in pochi decenni sparirono anche i rigurgiti reazionari in Grecia in Spagna e in Portogallo, sino all’abbattimento del “Muro” nel 1989. Pochi anni dopo, la Fondazione della Unione Europea segnava al tempo stesso il completamento di una pacificazione democratica e l’inizio di una nuova epoca di conflitti. Le ideologie del sociale si sono dissolte, sterilizzate dalle illusioni di un benessere diffuso. Ma chi le ripropone oggi si trova solo a navigare nel passato, perdendo qualunque strumento di difesa dall’insorgere violento di nuove intolleranze.

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La “politica democratica” perde credibilità e affonda anche per colpe proprie, lasciando il posto all’inganno della “e-democrazia”. La competizione politica, trasformata in giustizialismo, ormai è fondata sulla ricerca di consensi conquistati sul disprezzo per l’avversario accusato di presunti o veri reati. Il potere vince dove è autoritario: Trump in USA, Erdogan in Turchia, Orban in Ungheria, in molti paesi dell’Africa e dell’America Latina… e fermiamoci qua, in attesa di capire cosa succederà in Francia, in Germania e in Italia. E tutto mentre un dittatore mezzo ebete e mezzo pazzo minaccia il mondo di guerra nucleare.

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Ma soprattutto è tramontata la fiducia nella tecnologia e nel progresso, sostituita dalla paura per tutto ciò che è nuovo e diverso. In Occidente è scomparsa quella sensibilità per il bene comune che teneva alte le democrazie. In Oriente uno sviluppo forsennato dei consumi illude un percorso verso una impossibile eguaglianza. Nel punto di frizione geografico e concettuale di questi due mondi, il Medio Oriente, guerre endemiche e devastanti aprono rivoli di disperazione che si spargono nel vecchio continente e vendette di sangue in mezzo mondo.

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Se per “reazionario” intendiamo un atteggiamento politico che contrasta ogni cambiamento di carattere sociale, culturale e istituzionale, e, più in generale, nega ogni riforma, innovazione e integrazione, questo significa che è reazionario chi riafferma i valori divisivi del passato sospesi tra nostalgia e ideologia. Allora possiamo dire che questo termine “reazionario” rappresenta bene la confusione di oggi tra i valori del progresso e della conservazione, che, detta in termini “storici”, ma ancora validi, è confusione tra i valori della sinistra e della destra.

Ecco, mentre penso a tutto questo, non riesco più ad emozionarmi nel giorno della memoria per la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo.

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