In Italia forse non avremmo parlato tanto di Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino se non avesse avuto successo negli USA con successive nomination sia agli Oscar che ai Golden Globe. E’ un film girato interamente in Italia, ma chiaramente scritto e realizzato per il pubblico nordamericano, tratto da una sceneggiatura di James Ivory con interpreti quasi tutti statunitensi, che incrocia due generi: il cinema di “ambiente italiano” con le sue ville e i suoi paesaggi (Camera con vista di Ivory, Io Ballo da sola di Bertolucci, ecc…), e il cinema nel quale un “ospite imprevedibile” mette in crisi sentimenti e sessualità consolidate (filone avviato nel’68 dal Teorema di Pasolini).
E’ difficile parlare di questo film, perché il commento rischia di passare per “politically incorrect” sia quando positivo, perchè storia di sesso tra un adulto e un minorenne, sia quando negativo, perché storia di sesso omosessuale. Ma un film va guardato senza moralismi né fobie. E questo è un principio valido per tutti i generi, anche quelli – oggi frequenti – in cui la violenza è la principale caratterizzazione. Ma Chiamami col tuo nome è un film di pace, ambientato nell’Italia campestre dei primi anni Ottanta, nei quali il “made in Italy” craxiano correva forte celando imprevedibili sviluppi politici. Tra le mura di una severa casa di campagna, dimora estiva di una famiglia intellettuale, in cui si suona musica e si studia archeologia tra frutteti in fiore, profumi di albicocche, fontane e laghi incantati, si sviluppano sentimenti e passioni che provocano gioie e dolori, però mai conflittuali, sempre risolti nella reciproca comprensione.
Chiamami col tuo nome è un film che possiamo definire “idilliaco” sia per l’ambientazione che per la storia di amore e sesso che vi esplode. E proprio questo è il suo limite, perché davanti ad un presunto “idillio” oggi diventiamo tutti più attenti e pronti alla smentita. Insomma questo film mi ha fatto diventare un po’ cattivo. Così ho annotato molti difetti. Intanto la figura di uno dei protagonisti, Oliver (l’attore Armie Hammer) che sembra la traduzione maschile di Barbie, lezioso sino al caricaturale nelle movenze e nel ballo; poi l’atmosfera da “mulino bianco” che attraversa tutto il film; la palingenesi del padre, prima allegramente distratto dalle sue ricerche archeologiche, poi, nel finale, autore di un modernissimo e bel monologo sulla tolleranza e gioia sessuale (ma non eravamo nell’Italia provinciale di 35 anni fa!?).
E poi troppe licenze di regia: le poche automobili che girano tratte da un campionario d’epoca risalente agli anni Sessanta; il vagone del treno uguale a quelli delle deportazioni degli Ebrei nella seconda guerra mondiale; il “simil bronzo di Riace” che viene estratto dal lago di Garda; e poi questi dialoghi su questioni intime recitati a distanza attorno al monumento ai caduti; il pallore dei corpi nell’estate italiana quasi sempre seminudi dentro casa; per finire con la “performance della pèsca” abbastanza incomprensibile anche per i turbamenti sessuali di un adolescente. Resta la bravura del protagonista Elio, il giovanissimo Timothée Chamelet, meritevole di un premio. Insomma tutto si può dire, tranne che Chiamami col tuo nome sia un film che non fa discutere.
non ci sono dubbi che questo film sia costruito a tavolino per vendere all’estero un’immagine cliché dell’Italia che non è reale. Auguro a Guadagnino di essere più originale
in futuro e di non pensare solo ai soldi. La Solita.
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Complimenti per il centesimo articolo!
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