Palladio architetto vicentino

note divulgative per una visita alle opere di Palladio a Vicenza

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Gioiello di Vicenza. Ricostruzione del modello in argento attribuito ad un disegno di Palladio

All’inizio del XVI secolo Vicenza si era trovata coinvolta nella guerra tra Venezia e il Sacro Romano Impero alleato con il Papa, subendo violenze e saccheggi e aveva dovuto accettare la protezione di Venezia. Così era rimasta lontana dal rinascimento artistico che aveva caratterizzato altre città italiane. Solo nella seconda metà del 1500 si ricreò un periodo di pace che portò Vicenza ad una rinascita confrontabile con i movimenti di un secolo prima. Erano gli anni, tra gli architetti, di Giulio Romano, Sansovino, Serlio e, tra i pittori, Veronese, Tintoretto e Tiziano. Andrea Palladio si trovò a sviluppare il suo pensiero e a progettare le sue opere civili più significative proprio in questo contesto.

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Palladio, nato a Padova, ma spostatosi presto a Vicenza, ebbe tre maestri, ognuno dei quali contribuì in modo diverso alla sua formazione. Il primo, Giangiorgio Trissino, era umanista, letterato, uomo di teatro, ma anche appassionato di architettura: dal Trissino Palladio acquisì le conoscenze classiche. Il secondo, Alvise Cornaro, era invece imprenditore agricolo, mecenate, ma uomo pratico che anteponeva la funzionalità alla bellezza: dal Cornaro Palladio acquisì il pragmatismo nel progettare le ville dei ricchi e colti proprietari terrieri. Infine Sebastiano Serlio, che forse Palladio non incontrò mai, ma che conobbe dai suoi libri e disegni e dal quale acquisì una visione dell’architettura al tempo stesso classica e moderna, rigorosa e trasgressiva. Quattro Libri Dell'architettura (1570)_P_gina_145Dal 1541 sino agli anni 70 Palladio visitò più volte Roma, che studiò in tre modi diversi. Innanzi tutto con i sopralluoghi e la conoscenza diretta dei monumenti antichi, tra cui particolare attenzione al Pantheon, ma anche moderni per allora, come il tempietto e altre opere del Bramante (che preferiva a Michelangelo) e  di cui misurava ed appuntava scrupolosamente dimensioni e proporzioni. Poi osservando e copiando i disegni di altri studiosi, per conoscere e memorizzare architetture antiche distrutte o poco note. Infine leggendo testi e storie di Roma, col fine di immaginare e disegnare opere anche solo descritte nei libri e mai raffigurate. Così facendo si costruì un ampio repertorio di schizzi e rilievi diretti, indiretti e immaginati che, aggiunti agli innumerevoli schizzi e disegni dei suoi progetti, gli sarebbero poi serviti per il suo trattato i Quattro Libri dell’Architettura3_quattro_libriM. In realtà l’attività architettonica di Palladio, più che dalle opere costruite, emerge dalla grande quantità di progetti disegnati ma non realizzati. La cultura e sensibilità classica lo portò spesso a ridisegnare le sue stesse opere depurandole dalle complicazioni ed irregolarità che la committenza o la costruzione avevano imposto.

Gli anni decisivi della esperienza di Palladio a Vicenza furono quelli tra il 1538 (esperienze con Trissino e Cornaro) ed il 1549, quando realizzò i suoi edifici migliori, Palazzo Chiericati e La Rotonda.

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La sua fama crebbe tanto che, al di la delle origini borghesi, venne accettato, unico architetto, nell’Accademia Olimpica di Vicenza, composta esclusivamente da intellettuali aristocratici dediti alla cultura umanistica e teatrale ma anche a manifestazioni cavalleresche e di corte. Nella sede dell’Accademia Palladio realizzò il suo terzo capolavoro vicentino, il Teatro Olimpico.

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Villa Barbaro Maser

Le Ville di Palladio sono distribuite in tre diversi contesti territoriali. Vicenza, Padova e Treviso. Oggi ne restano 19, più 20 disegni di ville non realizzate, ma comprese tra i disegni dei Quattro Libri dell’Architettura. Nell’insieme rappresentano un ampio repertorio di soluzioni architettoniche sia in termini funzionali che formali. Quasi tutte sono pensate non come residenze signorili di campagna, ma come vere e proprie abitazioni principali per la gestione delle attività agricole di aristocratici e colti possidenti terrieri. Fa eccezione La Villa Almerico Capra, detta La Rotonda (1966-70) appena alla periferia di Vicenza, che ci appare integrata alla sua collina, immersa in un paesaggio dal quale è impossibile astrarla. La Rotonda era la dimora di un prelato, non di un gentiluomo di campagna, un belvedere quindi e non una abitazione per gestire la campagna. La bellezza del paesaggio nel XVI secolo – a differenza dei giorni nostri – non era considerata quella della natura incontaminata, che invece spaventava in quanto immagine di arretratezza, bensì quella della natura coltivata, in quanto espressione di ricchezza e potere terriero. 

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La Rotonda, pianta, prospetto-sezione

Ne La Rotonda compaiono alcuni caratteri ricorrenti dell’architettura palladiana: il pronao di ingresso a 6 colonne sul fronte, sempre rialzato su basamento o al culmine di una scalinata; Il grande timpano a segnare l’ingresso; talvolta la cupola. Al contrario c’è una estrema varietà nelle finestre, talvolta spoglie o con cornici minime, altre volte di impianto rigorosamente classico. Palladio sembra recuperare l’immagine del tempio classico trasferendola nella casa. In realtà nel suo trattato spiega che tali forme derivano direttamente dalla tradizione della abitazione familiare che anticipò il tempio in quanto dimora della famiglia, primo nucleo associativo nella storia dell’umanità.

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Per quanto riguarda le tecniche costruttive, fatte poche eccezioni, le murature come le colonne e i pilastri di questa ed altre ville palladiane sono in mattoni o blocchi di pietra intonacati. La pietra in vista scolpita è impiegata solo per plinti, capitelli, fregi e scalinate. La cultura di Palladio per quanto formata su basi classiche si sviluppò con una forte personalizzazione che lo distanziò sempre di più dal rinascimento romano e fiorentino, aprendo spazi di trasgressione manierista che preparò l’avvento del Barocco. Così come Michelangelo era il cantore ortodosso della chiesa cattolica, così Palladio fu considerato l’autore della protesta. Forse anche per questo le ville in stile palladiano ebbero tanto seguito nei paesi nordici e protestanti – prima tra gli squares inglesi, poi nei paesi coloniali e soprattutto nel Nord America – diventando lo stile prediletto dei proprietari terrieri che volevano esibire una cultura umanistica.

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Quasi tutti i palazzi e gli edifici pubblici sono stati realizzati da Palladio solo in parte, quindi sono incompleti, oppure completati o manomessi da altri, secondo una prassi allora frequente, dovuta alla concorrenza tra architetti, ai tempi lunghi di costruzione e alle esigenze mutevoli. Per conoscere ogni edificio nella sua versione palladiana originale, l’unica fonte sono le illustrazioni del suo trattato. Gli abitanti in città in grado di finanziare il proprio palazzo erano per lo più ricchi vassalli di Venezia o soldati mercenari, molto diversi dai proprietari terrieri del circondario rurale, quindi maggiormente orientati ad un pragmatismo funzionale, anche se non privo di velleità culturali. Per Palladio l’incarico di maggiore prestigio nel campo degli edifici urbani fu il completamento del Palazzo della Ragione (o Basilica, 1546-49)).

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Pianta e prospetto della Basilica

L’edificio originario, di impianto tardo gotico,era stato costruito nella metà del secolo precedente con copertura in legno a carena di nave rovescia. A terra erano stati lasciati due passaggi trasversali di cui uno coincidente con l’antico cardo fondativo della città (il decumano coincide con l’attuale Corso Palladio). Fu poi aggiunta lungo il perimetro una loggia a due piani che presto crollò. Vincendo la concorrenza di altri architetti allora anche più affermati, il nostro propose di ricostruire il doppio loggiato, cimentandosi con il difficile compito di regolarizzare la scansione degli archi lungo tutto il perimetro rispettando le campate non sempre regolari dell’edificio gotico. E qui gli venne in aiuto l’invenzione di Sebastiano Serlio, detta appunto finestra serliana.

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 Questa ha la caratteristica di essere costituita da un arco centrale classico a sesto pieno che poggia su due colonne per lato, a loro volta collegate da architravi ai pilastri che definiscono la campata. Il dispositivo consente di inserire un arco secondo i rapporti classici all’interno di una specchiatura quadrata e di ripetere archi regolari di proporzioni classiche adattandosi a campate diverse in virtù della maggiore o minore distanza tra le colonne e i pilastri di campata. Il doppio sistema di logge realizzato attorno alla Basilica costituisce un involucro che ne modifica anche la spazialità interna. Il piano terra resta collegato in più punti alla piazza, al piano superiore il loggiato distribuisce la grandiosa sala gotica. In virtù della uniforme scansione dei loggiati, all’esterno la Basilica ci appare come un oggetto concluso che emerge dal sistema di spazi aperti costituiti da Piazza dei Signori, Piazza delle Biade e Piazza delle Erbe. La Basilica è L’unica opera di Palladio costruita interamente in pietra e questa è la ragione per cui la sua costruzione si protrasse per quasi 70 anni.

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L’incarico per la Basilica fu per Palladio la discriminante di due diversi periodi di esperienze (quindi prima e dopo il 1550). I primi palazzi si possono considerare la riproposizione di motivi già esistenti: la Casa Civena ripropone l’idea dei portici tipici di Vicenza dal medioevo in poi.  Similmente Palazzo Thiene, con il suo bugnato e la sua pesantezza si collega alla tradizione del palazzo rinascimentale toscano e allo stile di Giulio Romano, al quale alcune fonti attribuiscono il progetto originale.

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Palazzo Thiene, sezione

Il secondo periodo, sull’onda del successo del progetto per la Basilica, vede la realizzazione di altri palazzi di più elevata originalità che richiamano le grandi opere del classicismo rinascimentale. Palazzo Chiericati (1550), con la sua facciata caratterizzata dal quasi totale svuotamento, con colonnati che creano un plastico gioco di pieni e vuoti, quasi fosse un cortile sezionato e portato all’esterno; il palazzo, inserito in un grande spazio aperto, visibile a distanza, è una delle opere urbane di Palladio più vicine alle esperienze delle ville rurali.

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Poi Palazzo Iseppo Porto (1552), nel quale il bugnato si schiaccia e le colonne si incassano nella facciata, con un grande peristilio centrale d’ordine gigante (che ancora richiama la “modernità” della Roma bramantesca) che distribuisce due ali laterali.

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A partire dagli anni Sessanta inizia un periodo di allontanamento dalla purezza classica con la realizzazione di palazzi negli spazi compressi delle strade vicentine, ove la cortina muraria si ispessisce con ruvidi basamenti, lesene, semicolonne e balconate compresse, tutti elementi che anticipano quel momento di passaggio tra classicismo rinascimentale e barocco che è stato chiamato Manierismo. Esempi sono Palazzo Valmarana (1965-66); Palazzo Barbarano (1970-71); la Loggia del Capitaniato (1971) e infine il frammento di Palazzo Porto Braganze (1970-80).

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Proprio quest’ultimo edificio di Palladio, con la sua iconica incompiutezza, ci consente una riflessione finale che ricollega un po’ tutte le sue opere. La cultura umanistica unita ad una forte volontà innovativa dei canoni classici ed a una sapiente conoscenza tecnica, lo porta a contaminare progressivamente i partiti costruttivi dei suoi palazzi. Eppure ritroveremo sempre nelle opere urbane di Palladio il fondamento dell’architettura nell’archetipo della colonna classica suddivisa in plinto, fusto e capitello. Questa tripartizione, che costituisce l’essenza del classicismo, ritorna sempre nelle facciate dei suoi palazzi: nel pesante, alto basamento che definisce l’attacco a terra (come il plinto della colonna); nello sviluppo dell’involucro dell’edificio, (come il fusto della colonna); ed infine nel coronamento costituito da architravi e cornicioni che conclude l’edificio (come il capitello della colonna).

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Il Canaletto, Capriccio Palladiano (1745)
Per approfondire: J. Ackerman, Palladio, ed. it., Torino 1972. e L. Puppi, Andrea Palladio, opera completa, Milano 1973
Le fotografie sono dell’autore

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