Come fortini assediati, le aree centrali di Roma, Milano e Torino sono tra le poche circoscrizioni elettorali italiane nelle quali la maggioranza dei votanti è restata fedele alla sinistra in aree dominate dalle destre e dei cinque stelle. La maggior parte della opinione pubblica nei giornali, in televisione, nei social e, cosa triste, anche parte degli elettori di sinistra – complesso di colpa? – sbeffeggia questo piccolo successo considerandolo la prova che vota a sinistra chi gode di privilegi. Ma siamo sicuri che questo voto derivi solo da una condizione di benessere – magari ereditata – e che sia possibile definire ora “pariolini”, ora “radical chic” persone e famiglie che hanno la colpa di vivere in aree non periferiche della città? O forse c’è anche una componente culturale e una sensibilità civile, certamente favorita dalla mancanza di urgenze economiche, ma difesa in nome di valori che appartengono alla tradizione della sinistra? Allora vorrei raccontare la storia di uno di questi “privilegiati” che può costituire un campione di elettori molto diversi da quanto viene oggi rappresentato.
E’ una storia vera, una storia comune, il protagonista lo chiamerò Fortunato. Pochi mesi prima della Liberazione, in una Italia nella quale la guerra aveva azzerato molte delle diseguaglianze sociali, costringendo alla fame anche gran parte della piccola borghesia urbana, in un palazzo INCIS di Prati, un quartiere centrale di Roma, era nato Fortunato. La madre era la sesta figlia di un impiegato statale di origini campane emigrato a Roma, il padre, primo figlio maschio di un noto giurista di Cagliari, proveniva da una famiglia numerosa, benestante, ma anch’essa impoverita dalla guerra. Dopo la guerra combattuta in Africa, il padre di Fortunato trovò lavoro a Roma nella società telefonica statale, la moglie, che ebbe un secondo figlio, badava alla casa. Lo stipendio non consentiva lussi né la possibilità di pagare un affitto, e la famiglia di Fortunato visse per alcuni anni a casa dei nonni materni.
Quando fu possibile aprire un mutuo, il padre di Fortunato si iscrisse ad una cooperativa edilizia e finalmente nel 1954 la famiglia si stabilì nel “quartiere africano” (dai nomi delle strade), distante da Prati e decisamente periferico. Le strade attorno alla casa di Fortunato non erano ancora asfaltate, con spazi aperti ideali per giocare a pallone in strada. Ma erano gli anni del boom economico e attorno era tutto un fiorire di nuove palazzine. Con la progressione di carriera il padre di Fortunato ebbe aumenti di stipendio e finalmente nel 1957 fu possibile comprare a rate una Fiat 600. A poco a poco il benessere aumentò, era possibile d’estate andare in vacanza (si diceva “villeggiatura”), dividendo le spese con altri familiari si poteva affittare una casa per uno o due mesi in località costiere a nord di Roma.
Fortunato ed il fratello minore studiavano nel liceo classico pubblico, mentre il miracolo economico trasformava Roma favorendone lo sviluppo a macchia d’olio. Il quartiere africano in breve si trasformò in un’area semi centrale, bene attrezzata con scuole, strade commerciali e attrezzature per il tempo libero. La famiglia di Fortunato venne coinvolta dal vortice del consumo e fu possibile cambiare la vecchia Fiat 600 acquistando a rate una Giulietta Alfa Romeo usata. Così, per quanto lo stipendio del padre crescesse, tra il mutuo per la casa, le rate, qualche altro debito e forti costi quotidiani per abbigliamento e alimentazione, i soldi finivano ugualmente verso la fine del mese. Per quanto non mancasse nulla di sostanziale, non fu possibile per i due fratelli viaggiare all’estero e imparare a fondo una lingua straniera, così come capitava ai figli di amici e parenti con maggiori mezzi economici.
Arrivò il Sessantotto e i due fratelli, ormai studenti universitari, tradirono la tranquilla routine piccolo borghese della famiglia impegnandosi sia a livello culturale che politico. Fortunato, vicino alla laurea in Architettura, trovò lavoro come disegnatore nello studio di un architetto che abitava ai Parioli (quelli veri). Tre mesi di lavoro part-time per 35.000 lire/mese che gli consentirono di comprare la tanto desiderata Asahi Pentax reflex. Non subito però, perché sul momento mise i soldi guadagnati a disposizione della famiglia per una spesa urgente. Quando il padre, che nel frattempo era diventato un alto dirigente della Società Telefonica, andò in pensione e arrivò la relativa liquidazione, ci fu un ulteriore salto di benessere. Solo allora Fortunato capì che il padre non aveva mai avuto prima un conto corrente bancario e che quell’armadietto chiuso a chiave nella camera in cui dormiva, aveva sempre custodito in banconote da 10.000 lire il suo stipendio mensile.
Fortunato ed il fratello, laureati e sposati, uscirono di casa e trovarono lavoro. Cominciò per loro una vita nella quale, rispetto ai genitori, avrebbero avuto minori ansie per il quotidiano e maggiori livelli di benessere. Oltre all’impegno professionale confluito nell’insegnamento, Fortunato approfondì la sua cultura immergendosi nella realtà contemporanea e nell’impegno civile e politico. Sorvolo sulle disavventure coniugali e sui problemi con i figli, per ricordare invece che, seppure nelle controversie della vita, non modificò mai da una parte la scelta di vivere nei quartieri centrali di Roma anche a costo di abitare in piccoli appartamenti, e dall’altra la costante difesa dei valori dell’uguaglianza e solidarietà. Fortunato visse e invecchiò amando Roma, la sua città, e soffrendo per i suoi problemi.
Nei quartieri centrali delle grandi città italiane vivono molti “Fortunati”.
Ma chi è sto Fortunato?
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indovina un po’?
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