Forse a causa della bulimica visione di film strappati dalle sale e consegnati alle piattaforme dalla emergenza Covid, o forse a causa della sciagurata guerra di Putin e delle cupe vicende della politica italiana, di fatto, da più di un anno, mi era scivolato via il desiderio di parlare su queste pagine digitali di cinema quanto tocca temi e valori che caratterizzano la contemporaneità, .

Il cinema della seconda metà del Novecento aveva affrontato spesso temi sui conflitti e le contraddizioni del liberismo capitalista: il contributo del neorealismo italiano, il cinema “civile” americano, quello “sociale” del Regno Unito e i paesi dell’Europa atlantica, gli affanni della borghesia intellettuale con la “Nouvelle vague” francese, per non parlare del cinema del Sudamerica e dei paesi in via di sviluppo. La grandissima maggioranza di questi film ha affrontato questi temi con la giusta tonalità drammatica, talvolta scivolando nella retorica e nello schematismo ideologico, solo raramente con ironia. Il cinema del regista svedese Ruben Östlund affronta temi simili (adeguati alle contraddizioni di oggi) attraverso paradossi e feroci caricature.

Nel suo The Square (2017) Östlund aveva rotto gli schemi dell’Arte contemporanea, nel film Triangle of Sadness, vincitore a Cannes quest’anno, il tema è quello del “Lusso”, da intendersi non solo come merce estrema del “mercato” o godimento della ricchezza, ma come paradosso di un valore tanto autoritario e cinico quanto stupido ed effimero. L’industria del “Lusso” vede, protagonisti opposti, da una parte chi “produce” la merce, ovvero con il suo lavoro in uno stato di totale sottomissione e precarietà rende prospera questa industria, dall’altra non tanto chi ne trae profitti, ma chi la compra e fruisce, nella assoluta convinzione di essere dominante e immortale. Il film, dopo un prologo che mette in evidenza l’ingenua sensibilità e la confusione mentale dei lavoratori subordinati nel campo della Moda, ovvero giovani modelle e modelli, si sviluppa su un prestigioso yacht attrezzato per costose vacanze esclusive.

La grande invenzione del film è quella di mostrare come siano proprio gli eccessi di questa assurda performance dell’industria del “Lusso” a scardinare i rapporti di forza, fino a vederlo esplodere in una dimensione caricaturale che diverte lo spettatore. Una allegoria del conflitto sociale? Certo. Una didascalica rappresentazione del riscatto di classe e di etnia? Forse. Una profezia di futuro matriarcato? Anche. Ma il rischio di cadere in una stereotipata visione ideologica viene allontanato quando il capitano della nave (marxista) e l’oligarca russo (capitalista) entrambi ubriachi, ripetono, ognuno dalla parte sua e smentendosi a vicenda, slogan e citazioni tratte da illustri protagonisti del Novecento. Resta la triste miseria del lusso: è l’ossimoro che ci accompagna sino alla fine del film, quando ricchi e poveri si ritrovano – è proprio il caso di dire – nella stessa barca.

