
Era il 1976, quando con un gruppo di amici partecipammo ad un innovativo festival del super8 con “filmetti” girati e montati con attori e mezzi non professionali al Filmstudio, allora celebre cinema d’essai romano. In una serata furono presentati un cortometraggio titolato La Sconfitta, uno spezzone di un film incompiuto suiPromessi Sposi Come parli frate, e un lungometraggio titolato Io sono un autarchico. All’uscita della proiezione, colpiti dalla genialità e ironia di questi piccoli film, ci siamo fermati a parlare con l’autore, Nanni Moretti che allora aveva 23 anni. Io sono un autarchico, dopo una lunga permanenza al Filmstudio, fu “gonfiato” in 16 mm e uscì nelle sale con notevole successo.

Da allora Moretti è diventato osservatore degli entusiasmi e delusioni della sua generazione, icona di un cinema imperfetto, quasi sciatto, ma acuto e dissacrante. Un cinema per circostanze e ambientazione molto “romano”, ma radicato nelle ansie di una sinistra italiana perennemente in crisi, che, non a caso, ha trovato sintonia con la critica e il pubblico francese. Occorre riconoscere che nei successivi suoi film, in una carriera che ha prodotto una quindicina di lungometraggi, raramente si è allontanato da sé stesso; e anche quando ha affrontato temi diversi, drammatici come La stanza del figlio, politici come Il caimano, o paradossali come Habemus Papam, non ha mai rinunciato alla propria autoreferenzialità misurata sulla attualità contemporanea.

Nanni Moretti non ha mai nascosto le sue idee politiche di sinistra, anzi, ne ha fatto un contesto cui fare riferimento; anche per questo i suoi film hanno sempre acceso discussioni e controversie. In questi giorni è uscito Il sol dell’avvenire, che potremmo definire non tanto un ritorno al passato, quanto una sorta di sommario dei suoi 50 anni di passione per il cinema: l’insofferenza per le formalità e i luoghi comuni dei rapporti interpersonali; la difficoltà a capire le contraddizioni della sinistra; l’amore per il cinema, ma anche la paura di sbagliare; la repressa nostalgia per il passato e la rabbiosa speranza per il futuro; un continuo ribaltamento tra ottimismo e pessimismo, tra serenità e depressione, ma sempre senza empatia con il prossimo.

L’introversione caratteriale nel privato lo condiziona a rispondere alle interviste con poche parole, e nei film lo fa recitare in modo stentoreo e declamatorio, da “libro stampato”, come si diceva una volta: poche parole e una sentenza, spesso con ironia sferzante o sarcasmo spietato. Ma Moretti tanto è introverso nella realtà, quanto autobiografico sino al narcisismo nella finzione cinematografica. Ma diverte anche per questo. Il sol dell’avvenire piacerà molto ad alcuni e molto poco ad altri. Ma i maggiori detrattori di Moretti non sono i critici o gli spettatori di destra, ma proprio coloro che lo hanno amato e, con sorrisi amari, si sono identificati con i suoi disagi o hanno condiviso le sue insofferenze: Come capita spesso, le grandi affezioni soffrono il passare del tempo e invecchiano. Così il Moretti di oggi, che ne Il sol dell’avvenire si chiama con il suo vero nome, Giovanni, non può più essere l’Apicella di ieri, e se con le rughe e la barba bianca torna a riflettere sul passato, suscita nello spettatore la stessa nostalgia che conclude il film: Nanni Moretti, prima di lanciare il finale, infatti dice più o meno “normalmente io non amo i ‘se’ e non mi piace finire con i ‘se’, ma questa volta lo voglio fare”… e – consentitemi un piccolo spoiler – subito dopo nel film parte la folla in marcia lungo via dei Fori Imperiali con le bandiere rosse che festeggiano la (mai avvenuta) decisione del PCI di dissociarsi dalla invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica.
