Stalker, Alienlog, MAAM, la mappa delle sette rovine
Dopo 40 anni di insegnamento e di consuetudini universitarie, ho capito che se la comunità scientifica continuerà a parlare solo a se stessa e la comunità civile a faticare nell’interpretarla, l’impermeabilità tra accademia e realtà in Italia resterà molto a lungo.
Intendiamoci, la ricerca universitaria deve svolgere il suo lavoro al più alto livello possibile, con gli strumenti e i linguaggi che gli sono propri, anche con l’astrattezza necessaria. Ma deve sapere curare le ricadute sulla vita reale, trovando momenti di comunicazione, così come deve ascoltare quanto emerge dalla comunità civile per farne tesoro. Altrimenti resta una intelligenza grande, ma muta e sorda. Questo è il motivo per cui ho criticato gli esiti dell’iniziativa dell’ex assessore Caudo insieme a molte università sul tema del futuro di Roma nel 2025 in mostra al MAXXI (cfr questo blog, gennaio 2016).
E per questo, al termine della esperienza accademica, anziché scrivere ancora un libro che concluda l’itinerario scientifico, come fanno altri colleghi, ho preferito aprire un canale di comunicazione in forma di blog, dove cerco di illustrare ai non specialisti alcuni aspetti del dibattito sull’architettura e sulla città.
URBANISTICA E’ ARCHITETTURA

Urbanistica ed architettura sono nate come una cosa sola. Pensare insieme a Leon Battista Alberti ad “una casa come una piccola città e alla città come una grande casa” è semplice ed immediato. Così come è facile concepire le strade e le piazze come disimpegni, le abitazioni come stanze del privato e gli edifici pubblici come stanze del soggiorno e dell’ospitalità. Più in generale potremmo dire che nel momento in cui una architettura, privata o pubblica che sia, occupa uno spazio, si confronta con le altre architetture e condiziona uno spazio più ampio che può essere definito una parte di città.
I grandi architetti sono sempre stati grandi urbanisti. Nella seconda metà del Settecento Ledoux disegnò e costruì in Francia una città del lavoro, la Fabbrica di sale di Chaux, presso il villaggio di Arc-et-Senans – forse ancora poco conosciuta dal turismo ordinario – che rimane uno dei teoremi più alti della identità tra urbanistica e architettura. Poi vennero le visioni futuriste di Sant’Elia, Le Corbusier e i maestri dell’architettura moderna, le grandi realizzazioni della Vienna Rossa, i quartieri popolari di Berlino e Francoforte e le espansioni di Amsterdam. E ancora alla metà del XX secolo le migliori ricostruzioni post-belliche europee e italiane furono realizzate in nome di una urbanistica che esprimeva architettura di qualità (le new town Inglesi, le periferie a bassa densità olandesi, i quartieri INA-CASA in Italia, ed altri ancora).
URBANISTICA VERSUS ARCHITETTURA
Nel 1962 Italo Insolera pubblica il libro Roma Moderna. Un contributo fondamentale per conoscere la storia di Roma dalla unità d’Italia in poi, che, nella parte conclusiva, apriva gli occhi del lettore sulla crescita sconsiderata di una città di palazzine ed intensivi. Roma, in mano ai costruttori, costruiva le case prima delle fogne e delle strade, e prima di pensare ai trasporti. Il miracolo economico trainava il mercato edilizio protetto dalle amministrazioni democristiane. La corruzione era ai massimi, ma restò in gran parte nell’ombra. Un seme che avrebbe dato i suoi frutti marci sino ad oggi.
Anche per l’eco che il libro di Insolera sollevò negli ambienti dell’opposizione politica (PCI-PSI-Radicali), degli intellettuali e degli archeologi, iniziò a consumarsi un distacco tra una urbanistica che cercava di tutelare la città e una architettura comunque necessaria per rispondere alla persistente carenza di alloggi sociali, spazi pubblici, servizi e mobilità. Gli ultimi spasmi dell’unità urbanistica-architettura furono, negli anni Settanta, il programma di case popolari delle leggi 167 e 865. Tra successi e sconfitte, qualità e degrado, realtà ed utopia, fu disegnata la nuova periferia della città di Roma. Ma era l’atto finale. Da allora l’Urbanistica, l’Architettura e, aggiungo, l’Archeologia, iniziarono un cammino di incomunicabilità: gli urbanisti abbandonarono la matita e presero la penna, gli architetti si divisero tra mestieranti e visionari, gli archeologi si preoccuparono solo di tutelare e vietare.
DISTANZE DISCIPLINARI
Gli urbanisti per anni hanno continuato a credere nel carisma dei Piani Regolatori e degli altri strumenti pianificatori di carattere essenzialmente quantitativo (zonizzazioni, vincoli, metri quadri o cubi, altezze, distacchi, ecc…), come strumenti di misura del costruito e di salvaguardia del paesaggio, sino a convincersi della loro inattualità quando il consumo di suolo e la disseminazione edilizia (sprawl) hanno raggiunto limiti intollerabili. Oggi si occupano di tutela del paesaggio da una parte e di gestione delle trasformazioni dall’altra: un lavoro di supporto alle determinazioni amministrative che consiste in relazioni, analisi, statistiche, proiezioni, compensazioni, ecc..
Gli architetti, nelle università come nella professione, hanno sofferto un isolamento provocato dalle loro presunzioni formaliste, dalle crisi economiche, ma anche dalla cattiva informazione che equipara troppo spesso l’architettura ad una “colata di cemento”. Oggi cercano nuovi spazi professionali legati ai temi ambientali ed energetici, ma anche a nuove corrette istanze di intervento sull’edilizia esistente per rigenerarla, riconvertirla, riciclarla. Soprattutto si pongono una domanda: esiste ancora la possibilità di costruire bene in un pianeta ormai dominato dalle paure per i rischi ambientali?
GUARDANDO INDIETRO
Il mio rapporto con Roma è iniziato da quando mi sono iscritto alla Facoltà di Architettura. Poi a trent’anni, con un gruppo di coetanei, abbiamo progettato e realizzato a Roma, per le cooperative edilizie, intere parti di due Piani di Zona della L. 167, Grottaperfetta e Laurentino (fig.1,2); qualche anno dopo il Torrino Nord. Alla fine degli anni Ottanta ho creduto nella realizzazione (mai compiuta) del sistema Direzionale Orientale e con lo stesso gruppo abbiamo progettato quello che avrebbe potuto essere il primo grattacielo a Roma, la nuova sede della Società Autostrade, mai realizzato (fig.3). Contemporaneamente nella Facoltà di Architettura partecipavo ad un gruppo di ricerca guidato da Carlo Chiarini, con cui abbiamo sviluppato per il Comune (assessori, con Argan, Vittoria Calzolari e, con Vetere, Carlo Aymonino), idee progettuali per la rigenerazione del quartiere Esquilino (fig.4): il recupero degli isolati ottocenteschi, il trasferimento del mercato da piazza Vittorio nelle ex caserme, il riutilizzo dell’Acquario Romano e dell’area ex Pantanella, ecc. Tutte queste proposte sono state successivamente realizzate direttamente dai tecnici comunali o da altri architetti. Con lo stesso gruppo di ricerca abbiamo studiato una nuova sistemazione delle stazioni romane lungo l’anello ferroviario, tra cui la proposta innovativa di una stazione ponte per la vecchia Stazione Tiburtina (fig.5); idea realizzata un decennio dopo da altri architetti per Ferrovie Italiane. Similmente abbiamo studiato il recupero dell’area dei vecchi Mercati Generali per ricavarne un polo di attrezzature culturali e per il tempo libero (fig.6), idea puntualmente rilanciata dal Comune qualche anno fa per un programma edilizio poi interrotto. E potrei continuare. L’unica mia opera pubblica realizzata a Roma è la piazza con parco di via dei Romanisti inaugurata nel 2004 da Veltroni a seguito del concorso Centopiazze di Rutelli (fig.7,8). Oggi questa piazza è in condizioni di avanzato degrado.
Conosco Roma e per tanti anni l’ho studiata e ne ho seguito le vicende, ma tremerei solo all’idea di dovere affrontare oggi gli infiniti problemi della periferia romana. Mi conforto al pensiero che Roma è un universo inestricabile, impossibile da conoscere appieno.
ENTRIAMO NEL MERITO
Col traino dei cinque stelle la campagna elettorale per le Comunali di Roma è stata caratterizzata da critiche generalizzate alle amministrazioni passate, in primis quelle di sinistra. Salvo poi, a risultato raggiunto, considerare virtuose quelle più antiche (Argan e Petroselli). Ci sono caduti anche gli amici di Sinistra Italiana (ex SEL), dimenticandosi dei buoni risultati dell’ Amministrazione Rutelli targata “Ulivo” e di quella Veltroni, frutto di una alleanza DS – Rifondazione Comunista.
La prima elezione diretta del Sindaco, nel 1993 fu vinta da Rutelli. Ricordo i caposaldi del programma di allora: cura del ferro, riqualificazione delle periferie con “Centopiazze”, avvio del nuovo Piano Regolatore. Un programma che doveva portare al nuovo Millennio e relativo Anno Santo. Dopo gli anni disastrosi dell’altalena tra monocolori democristiani e commissari straordinari, Roma tornò a muoversi. I lavori dell’anello ferroviario ripresero e molte linee ferroviarie locali vennero coordinate con la metropolitana; fu dato impulso ai lavori di prolungamento della linea A (completati nel 2000) e alla progettazione del prolungamento linea B; in otto anni le periferie trovarono un po’ di verde con gli appalti per la sistemazione di piazze e giardini; l’amministrazione di allora appoggiò la realizzazione dell’Auditorium di Piano e difese il cantiere dai ripetuti insabbiamenti delle burocrazie ministeriali; l’Anno Santo si svolse in una dimensione faraonica tenuta sempre sotto controllo. Fu bandito il concorso per un Centro Congressi di rilevanza internazionale di cui Roma era priva. Nel frattempo però i costruttori romani fremevano per realizzare nuove lottizzazioni convenzionate e Rutelli tentennò con alcune concessioni, rischiando più volte di cedere anche su aree di grande valore ambientale. La successiva amministrazione Veltroni (con l’alleanza tra Democratici di Sinistra e Rifondazione Comunista) è stata molto criticata per due ragioni: l’aumento consistente del debito di bilancio e una serie di concessioni alla sviluppo di volumetrie residenziali oltre il Raccordo Anulare. Ma entriamo nel merito. L’assessore all’urbanistica Morassut riuscì a fare approvare il nuovo Piano Regolatore e il cosiddetto “piano delle certezze” con il quale furono salvate alcune aree di pregio tra cui gran parte di Tormarancia e l’intero Pratone delle Valli, inaugurato come Parco Pubblico nel 2006. Ma fu pagato un costo alto perché la trattativa con i costruttori proprietari delle aree spalancò le porte ad una forte edificazione attorno al Raccordo Anulare, creando nuove periferie e nuovo degrado. Oggi qualcuno ricorda solo questo. Se si vuole criticare Veltroni la critica è quella di avere privilegiato la cultura (ma è una critica?): l’avvio dei lavori dell’Auditorium, l’invenzione della festa del Cinema, il recupero dell’area urbana di viale Giustiniano Imperatore, il sostegno al concorso per la Nuova Stazione Tiburtina, i Musei MAXXI e Macro e il recupero dell’ex Mattatoio, il progetto per l’Ara Pacis e i concorsi per la sistemazione di Piazza Augusto Imperatore, per il Ponte della Musica e il Ponte del Commercio, il recupero di Cinecittà e il rilancio del Centro Sperimentale di Cinematografia, ecc… A me non sembra poco. Semmai le critiche trovano maggiore sostegno nelle trascuratezze del secondo mandato, quando Veltroni fu assorbito da nuove responsabilità in politica nazionale.
CHE FARE?
Mi auguro che a Roma la nuova amministrazione, dopo i recenti disastri, cerchi di risolvere immediatamente almeno i problemi quotidiani che hanno fatto sprofondare la città nella vergogna: la raccolta di rifiuti, la pulizia di marciapiedi e strade, la manutenzione di asfalti e pavimentazioni, l’illuminazione pubblica, la cura dei giardini e dei parchi. E poi, naturalmente, più bus – nuovi e moderni – e manutenzione efficiente di quelli esistenti. Credo anche che i problemi più drammatici e difficili, perché coinvolgono questioni sociali prima ancora che urbanistiche (convivenza tra disagiati, mancanza di servizi e di luoghi di cultura, nomadi, spaccio, delinquenza diffusa) siano quelli che hanno portato le periferie ad un forte degrado. Forse sono la priorità assoluta, ma su questo non sono in grado e non voglio esprimermi.
Invece, restando nel mio campo e limitandomi ad opere pubbliche comprese nei quartieri centrali e semicentrali di Roma (che conosco meglio), provo ad elencare alcune azioni semplici e indifferibili (già note, ma ignorate) e altre più complesse e a medio o lungo termine.
MOBILITA’
Uno dei problemi più gravi è quello del parcheggio in doppia fila e parcheggio in divieto. Occorre agire sul corpo dei Vigili Urbani, lobby parassitaria e potente, trovando il modo di aumentarne il numero anche con l’istituzione di corpi speciali sussidiari. Poi tutti i vigili devono essere su strada. Il lavoro di ufficio può essere coperto da altro personale. Il pattugliamento, soprattutto nelle zone commerciali, deve avviare una forte repressione della sosta in doppia fila con multe e rimozione forzata (a proposito che fine ha fatto il servizio di rimozione?).
Occorrono nuove corsie preferenziali, ma soprattutto devono esser gestite meglio quelle esistenti: cordoli dissuasori ovunque (che Alemanno aveva tolto), telecamere a rilevamento targa nei casi più delicati e, quando possibile, sensi di marcia invertiti tra traffico privato e mezzi pubblici (cfr via Nazionale).
Va completato il programma di ridisegno delle geometrie stradali nelle zone con edifici a blocco e negozi, con nuove curvature agli incroci e delimitazione stalli di parcheggio (già effettuato in alcuni quartieri come Prati, Italia,Trieste, ecc…).
Va sistemata la viabilità in luoghi in cui ancora permane una circolazione provvisoria. Alcuni esempi: la viabilità attorno all’Auditorium è ancora quella precedente alla inaugurazione della struttura, inadeguata al luogo, con il paradosso di una rotatoria attorno al Palazzetto dello Sport che funziona in senso inverso.
Su Lungotevere Arnaldo da Brescia, tra Piazzale Flaminio e il ponte della Metropolitana ci sono, da oltre 10 anni, recinzioni per lavori inesistenti. Perchè? La Piazzetta di Santa Costanza, a lavori per la metropolitana completi, è ancora transennata. Perchè? Ma a Roma ci sono una enormità di spazi residuali non risolti. Occorre un censimento sull’intera città di queste situazioni paradossali e un intervento immediato.
RIPRESA LAVORI OPERE INCOMPLETE E/O ABBANDONATE.
E’ un problema nazionale, ma oltremodo grave per Roma. Un Assessore all’Urbanistica ha il dovere di porsi questa come priorità, attivando un censimento e studiando le modalità per ottenere i finanziamenti o gli accordi necessari per il loro recupero. Qui gli interventi sono più complessi e lunghi. Alcuni esempi.
Innanzi tutto la Metropolitana Linea C. E’ assurdo che una linea arrivi al centro città e poi si fermi. Credo che una amministrazione seria che guarda al futuro debba assolutamente impegnarsi per rifinanziarla almeno sino a Piazzale Clodio, come è anche assurdo che ci voglia tanto tempo per risolvere le complicazioni conseguenti la presenza di resti archeologici. Una amministrazione forte risolve i problemi di questo tipo, perché le linee metropolitane sono l’unico vero antidoto al traffico privato.
Per quanto riguarda le altre opere, per fortuna sembra che il Centro Congressi di Fuksas all’EUR sia ormai vicino alla inaugurazione.
Ma, dalle Vele di Calatrava agli ex Mercati Generali dell’Ostiense; dalle attrezzature integrative su via Innocenzo III della Stazione S. Pietro alla sistemazione definitiva del laghetto dell’EUR, dal recupero delle torri di Ligini all’EUR di Alfiere S.p.A. al prolungamento della Linea B della Metro, indipendentemente dalle colpe del passato, è indegno per una città come Roma che i cantieri non riprendano e si concludano. Accanto all’Ospedale San Camillo ci sono le strutture abbandonate del Forlanini, un ospedale storico di Roma, un patrimonio in abbandono e degrado da recuperare anche attraverso una convenzione pubblico-privato.
Infine le aree della ex Fiera di Roma sulla Colombo e
degli ex Magazzini Militari a via Guido Reni, da anni in abbandono, per le quali l’amministrazione uscente di centrosinistra aveva avviato ipotesi di accordi pubblico-privato che includono la realizzazione di volumetria residenziale e commerciale. E qui si entra in un campo pragmatico: è meglio l’abbandono a tempo indeterminato di aree pregiate, ma private, nel cuore della città che ne mortificano la dignità, oppure la scelta di una contrattazione con le proprietà pur di controllarne al meglio il riutilizzo? In tutto il mondo si sceglie la seconda strada. In particolare su via Guido Reni l’ex assessore Caudo aveva lanciato un concorso affinchè, oltre alle volumetrie private, ci fosse l’impegno della proprietà a realizzare il Museo della Scienza. Il concorso è andato a buon fine (anche se, a mio avviso, ha vinto un progetto scadente in un contesto con troppa volumetria), ora si vedrà l’intenzione della nuova amministrazione.
NUOVE OPERE
L’atto cui l’ex Sindaco Marino ha avviato la sua amministrazione, la chiusura di via dei Fori Imperiali, ha aperto un problema ma non lo ha concluso. Se la pedonalizzazione dovesse essere confermata, non sarà possibile conservare l’enorme carreggiata stradale asfaltata. Occorreranno ancora interventi sulla viabilità e soprattutto un progetto di risistemazione generale della quota stradale con una nuova pavimentazione, nuova illuminazione, arredo urbano adeguato e, se il caso, anche altri scavi. Per sistemare e rendere fruibili le aree archeologiche di Piazza Augusto Imperatore e di Piazza Argentina ci sono progetti pronti e, credo, finanziati. Cosa si aspetta?
Il Foro Italico è un caso particolare purtroppo poco considerato dalla politica. Giace in una condizione di grande trascuratezza. Gli splendidi mosaici sono in rovina. Lo Stadio Olimpico con le ritualità domenicali e le sue recinzioni posticce lo ha già alterato, gli Internazionali di tennis e gli spazi per la festa e la musica estiva ne hanno logorato i marmi, le pavimentazioni e il verde.
Soffrono alcuni gioielli architettonici, come gli edifici di Del Debbio, lo Stadio del Tennis di Costantini scavato nel terreno e oppresso dal vicino – e molto brutto – nuovo centrale.
Soffre la casa della scherma di Moretti, solo parzialmente restaurata. E’ necessario un programma di restauro e recupero. Ma non solo. Di fronte, il Ponte della Musica appare come oggetto estraneo: chi viene dalla’altra sponda del Tevere si trova davanti una pericolosa strada di scorrimento veloce.
E’ necessario prolungare sino al Foro Italico il transito pedonale che proviene da via Guido Reni (Musei) interrando il lungotevere Maresciallo Cadorna (trincea o sottopasso) da Piazza Maresciallo Giardino sino ad oltrepassare il Ministero degli Esteri, per poi risalire in quota prima di Ponte Milvio. Sarebbe una eccezionale opera pubblica perché darebbe continuità spaziale e pedonale tra il Foro Italico – “parco di pietra” – e il margine del Tevere – “parco fluviale”.
Infine i nuovi stadi per il calcio, che risolverebbero in parte anche il problema del Foro Italico. Si può amare o no il pallone, ma non si può negare che lo stadio in tutto il mondo sia il grande teatro di massa del XXI secolo per lo sport e lo spettacolo. Gli stadi per il calcio, che comportano l’affollamento di decine di migliaia di persone vanno previsti lontano dal centro, dove spesso non esistono infrastrutture per la mobilità né servizi. Quindi le società sportive che lo vogliono realizzare non solo dovranno finanziarne la costruzione ma dovranno anche realizzare la viabilità di accesso e le necessarie infrastrutture pubbliche. Riferendoci all’area di Tor di Valle per lo Stadio della A.S. Roma si conferma la necessità di un accordo pubblico-privato che, a costo zero per il Comune, dovrebbe finanziare la mobilità con il potenziamento di due stazioni della metropolitana, l’adeguamento di via Ostiense in attesa da anni, una bretella di collegamento con l’autostrada, la mitigazione di un rischio idraulico in aree limitrofe e un parco pubblico; ovviamente con una componete di utile immobiliare che finanzi tutto questo, oltre lo stadio con i suoi servizi. Scandalizzarsi per queste procedure vuol dire essere fuori dalla realtà di una economia di mercato che, volenti o nolenti, ci coinvolge tutti.
Ricordando l’E42, l’Esposizione Universale incompiuta che avviò la costruzione dell’EUR; le Olimpiadi del ’60 che oltre al quartiere modello del Villaggio Olimpico, realizzarono le uniche opere pubbliche in una città, fino ad allora, riempita solo di palazzine, il Giubileo del 2000 che risolse molti problemi di mobilità urbana; ma anche pensando alla Esposizione di Genova del ’92, ai Giochi Olimpici Invernali di Torino del 2006, o all’Expo’ di Milano dell’anno passato, tutte città risorte dopo anni grigi, penso che, soprattutto per trasformare Roma, ci vorrebbe un grande evento. Perché purtroppo in Italia – e a Roma in particolare – solo con i grandi eventi arrivano risorse e si sconfigge la burocrazia.
Questo e molto altro ancora ci si aspetta da una amministrazione comunale e dagli assessori che si insediano con lo slogan di salvare Roma. Per ora conosciamo solo i nomi e il curriculum, aspettiamo di conoscere quello che faranno.
Grazie per questo compendio romano, l’ho trovato molto utile.
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