Ancora sullo Stadio Flaminio

(questo articolo segue e attualizza

quello già pubblicato quattro anni fa:

https://umbertocao.com/2017/03/23/stadio-flaminio-alla-lazio-si-o-no/

Lo Stadio Flaminio nel contesto urbano

Tutti coloro che seguono il calcio possono notare come i nuovi stadi per il Calcio in Europa e nel mondo siano esteticamente, funzionalmente e tecnicamente di una qualità superiore rispetto ai nostri. Anche i due maggiori, il Meazza di Milano e l’Olimpico di Roma non entusiasmano: Milan ed Inter ne vorrebbero uno nuovo, mentre chi frequenta l’Olimpico, può testimoniare che la parte di Tribuna Tevere non demolita nella ricostruzione quasi integrale per la Coppa del Mondo del Novanta, oltre ad essere architettonicamente male collegata al resto dell’impianto, è fortemente degradata nelle parti strutturali e con la sopraelevazione in legno lamellare (provvisoria?) realizzata ormai 32 anni fa.

Il Foro Mussolini negli anni Trenta

Per quanto riguarda Roma poi, a parte il fallito tentativo della A.S. Roma di costruirne uno nuovo a Tor di Valle, c’è un problema in più: il Foro Italico (ex Foro Mussolini), grande parco di pietra che costituisce uno dei progetti urbani più importanti dell’architettura moderna italiana anni Venti-Trenta, è stato invaso da una prolificazione di campi da tennis e da due nuovi stadi per il tennis, uno, stabile, bruttissimo e un altro, provvisorio, proprio davanti all’Olimpico, che hanno devastato il senso iniziale dello spazio; infatti tutti gli impianti erano stati pensati dall’architetto Del Debbio scavati nel terreno, proprio per non interrompere la continuità ambientale tra il fiume Tevere e la collina verde di Monte Mario. Ma non solo: il flusso continuo del pubblico domenicale (e infrasettimanale) per le partite di calcio ha compromesso le architetture, e ancora di più le statue e i mosaici dei numerosi artisti che ci avevano lavorato novant’anni fa. Dunque, costruire nuovi stadi per le squadre romane e lasciare l’Olimpico solo per le manifestazioni sportive internazionali è fondamentale per salvare e quindi restaurare il Foro Italico. Purtroppo, tra le tante voci ambientaliste schierate contro l’iniziativa della Roma a Tor di Valle non ne ricordo alcuna che considerasse un problema il degrado del Foro Italico. Una conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che l’ambientalismo italiano è culturalmente impreparato, condizionato dal conflitto politico e, a volte, dal pensiero NIMBY (Not In My Back Yard).

Foro Italico: I mosaici e i danni

Oggi c’è la novità della norma “sblocca-stadi” (Dlgs_38_2021.pdf) che, semplificando, oltre alle procedure, le motivazioni, la scelta delle destinazioni d’uso e le localizzazioni, consentirà di superare molte limitazioni, tra cui alcune prescrizioni paesaggistiche e architettoniche. Si sovverte la priorità nel percorso del progetto: prima la sicurezza e la sostenibilità, poi la conservazione del bene e il suo valore storico. Senza entrare nel merito di questa scelta di campo, leggendo gli articoli del decreto ne emerge la convinzione che da oggi trasformare o costruire nuovi stadi sarà meno difficile. La sensazione è che questa norma sia stata pensata per semplificare gli interventi di adeguamento funzionale e normativo di stadi già esistenti in molte città italiane (Bologna, Firenze, Bergamo, Cagliari, Verona, Spezia, Genova, tra le altre). Ma apre la possibilità anche di realizzare nuovi stadi nelle grandi città che hanno due squadre importanti e che vogliono uno stadio in proprietà, caratterizzato da attrazioni commerciali, di ristoro e tempo libero per i propri tifosi. Un business? Si, anche un affare economico.

Mentre la Roma cerca una nuova area per realizzare un progetto già pronto, l’attivissimo Lotito, presidente della Lazio, da qualche anno sta valutando la possibilità di intervenire sullo Stadio Flaminio, lo stadio da 25.000 posti costruito da Pier Luigi Nervi per le Olimpiadi del 1960. L’impianto, in proprietà a Roma Capitale, è stato utilizzato negli anni Sessanta dalla Lazio quando era in serie B, per qualche decennio anche per incontri minori e il Rugby, poi in abbandono. Oggi la Stadio Flaminio, che peraltro al di sotto della tribuna principale ospita palestre, una piscina e spazi di addestramento sportivo, è in un terribile stato di degrado che coinvolge anche gli spazi urbani esterni, nonostante la vicinanza con l’Auditorium. Recentemente è stato finanziato uno studio per il suo recupero, i cui esiti sono rimasti poco conosciuti. Ben venga allora l’ipotesi di ristrutturarlo e darlo in concessione (o in vendita) alla S.S. Lazio, secondo quanto riportano i giornali. Non so quanto sia vera la notizia ed è anche possibile che tutto svanisca come bolla di sapone, ma la questione apre uno scenario complesso dal quale emerge una questione generale: se un bene architettonico del passato – ma non un monumento dell’antichità – costruito per una funzione specifica, non trova una rifunzionalizzazione e decade in un degrado che finisce per distruggerlo, ha senso conservarlo intatto, oppure è meglio intervenire con una riqualificazione architettonica e funzionale anche a costo di modificarne il carattere originale?

I danni strutturali

Ma, prima di rispondere a questa domanda, esaminiamo i pro e i contro di un intervento di riutilizzazione.

I pro. Prima cosa, per i suoi tifosi, il valore simbolico del recupero di uno stadio nel quale la Lazio ha vissuto il riscatto dagli anni grigi della serie B, sullo stesso sito del vecchio Stadio Nazionale (poi chiamato Torino) e a poche decine di metri dall’area dove, da inizio secolo per circa 50 anni, erano poste le tribune del campo “La Rondinella”, dove questa squadra aveva giocato dopo la sua fondazione. La seconda considerazione positiva è che ci troviamo in un’area già bene servita dal trasporto pubblico: oltre ai bus, la navetta tram a 5-10 minuti dalla Metro Flaminio e dalla Stazione Roma Nord, la prevista nuova linea tramviaria 1 che dovrebbe collegare l’Auditorium con la Stazione Termini; un’area che sarà lambita dal GRAB, la pista ciclabile in corso di realizzazione che attraverserà perimetralmente tutta Roma; senza escludere l’eventuale prolungamento della Linea Metro C subito al di là del Tevere. Terza cosa, l’area, non lontana dal Foro Italico e riqualificata anche con l’imminente realizzazione del complesso di residenze e servizi pubblici della cosiddetta “Città della Scienza”, si caratterizzerebbe come grande polo di attrezzature per il tempo libero, includendo altri impianti sportivi (come il Palazzetto dello sport, ma anche i circoli privati con tennis e piscine lungo il vicino Tevere), l’Auditorium e il MAXXI. Infine, l’intervento sarebbe a costo zero per la comunità in quanto interamente a carico del privato e concentrato sullo stadio e sugli spazi esterni di competenza. Gli oneri urbanistici potrebbero essere utilizzati per la riqualificazione di altri spazi del quartiere come, ad esempio, il Villaggio Olimpico, se non addirittura il Foro Italico.

I contro. Gli aspetti critici ruotano attorno a due questioni tra loro collegate e opposte: il problema dell’adattamento del nuovo stadio agli standard internazionali dimensionali, tecnici, distributivi e di sicurezza. E, di conseguenza, il problema della trasformazione e alterazione di un’opera di architettura di valore e testimonianza storica, perché lo Stadio Flaminio è un bene architettonico vincolato. Senza entrare nello specifico della normativa delle federazioni internazionali, uno stadio in regola deve essere interamente coperto, provvisto di numerose vie di transito e fuga anche per disabili, un’ampia area recintata di sfogo esterno in caso di emergenza, tutti posti a sedere, alta tecnologia per illuminazione e comunicazione, con servizi vari per atleti e pubblico. A questi requisiti nel caso specifico vanno aggiunti la necessità di ospitare almeno 40.000 spettatori e volumetrie integrative per caratterizzare lo stadio con i “colori” e la “storia” della società calcistica e come luogo vissuto anche al di fuori degli incontri di calcio (spazi espositivi, bar, ristoranti, shopping sportivo, ecc…). In Italia ne è un esempio a Torino lo Stadio della Juventus. Tutto questo senza considerare cubature ancora più spendibili sul mercato immobiliare come Residence ed Hotel.

A questo punto il problema si sposta sul piano culturale e politico in risposta alla domanda che avevamo posto sopra, che può essere anche riformulata così: ha senso conservare un’opera architettonica, anche di pregio, quando la sua funzionalità non esiste più e il degrado la distrugge? Supponendo che la norma “Sblocca Stadi” consenta un intervento “energico” sullo Stadio attuale, in cosa questo potrebbe consistere? La demolizione completa e la ricostruzione di un impianto nuovo sarebbe la soluzione più semplice ed economica, ma costerebbe la scomparsa totale di un edificio di pregio e aprirebbe infinite polemiche; ricordiamo quanto accaduto proprio per il rifacimento dell’Olimpico (fine anni Ottanta), quando non solo ne venne avversata la demolizione parziale, ma bocciato dalle Soprintendenze e radicalmente cambiato un progetto che prevedeva torri con cavi di sostegno della copertura. Escludiamo quindi questa prima ipotesi.

La seconda ipotesi, che ritengo praticabile, è un intervento di ristrutturazione con sopraelevazione e relativa copertura. Lo Stadio di Nervi ha due caratteristiche fondamentali: la prima è l’elegante pensilina della tribuna principale; la seconda è la linea di colmo delle gradinate che si abbassa in corrispondenza delle curve alleggerendo l’impatto generale. Oggi gli stadi hanno la necessità di avere molti posti in curva dove vengono praticati prezzi popolari e tradizionalmente si dispongono le “tifoserie” più calde; meno indispensabile è incrementare il numero di posti nella tribuna principale (posti costosi, autorità e giornalisti) oggi coperta. Considerando l’incremento degli spettatori (circa il raddoppio), occorrerà realizzare un secondo anello di spalti comprensivo di copertura, che potrebbe interrompersi in corrispondenza degli estremi di quella attuale che resterebbe così intatta. Una soluzione non lontana da quella che si intende attuare a Firenze nello Stadio Franchi sempre di Nervi. Per quanto riguarda l’area esterna di pertinenza c’è grande spazio su tre lati, meno sul fianco Est dove passano gli svincoli sopraelevati del viadotto di Corso Francia, ma un buon progetto potrebbe risolvere anche questa situazione più critica.

Lato Est, con le rampe del viadotto

In particolare, il lato sud, in corrispondenza di una delle curve, affaccia su un ampio spazio libero (piazzale Ankara) orientato verso il centro città, oggi occupato da un parcheggio e un mercato settimanale. Quest’area potrebbe essere la grande piazza pedonale di accesso primario degli spettatori con le opportune attrezzature integrative di cui abbiamo già fatto cenno e due rampe lungo i fianchi che portano alle tribune. La maggior parte degli spettatori dovrà arrivare allo stadio con il trasporto pubblico, ma circa il 10-15% degli spettatori avrà comunque bisogno dell’auto. Quindi al disotto di questa grande piazza si potrebbero ricavare almeno due livelli sotterranei di parcheggio, circa 600 posti auto. Un secondo parcheggio potrebbe essere ricavato triplicando sotto e/o fuori terra l’attuale parcheggio a pagamento dietro la curva nord già esistente, per circa 1.000 posti auto.

Piazzale Ankara (in fondo lo Stadio)

La ristrutturazione e ampliamento dello stadio sicuramente altererà l’impianto originale firmato dai Nervi (padre e figlio); il nuovo Stadio Flaminio sarà diverso, ma, nelle mani di un bravo architetto (o, perchè no, proprio lo Studio Nervi di oggi) non è detto possa essere meno bello. Certamente ci sarà il rischio di polemiche e rimpianti, critiche e anatemi. Molti continueranno a chiedere un restauro conservativo per altri improbabili usi; ci saranno raccolte di firme e proteste per non modificare e costruire niente, magari usando il bieco termine di “colata di cemento”, non mancherà il NIMBY di qualche comitato locale. Come accaduto troppo spesso, come accaduto in questi ultimi cinque anni in cui Roma è rimasta ferma. E intanto tra infiltrazioni di acqua nel cemento armato, degrado delle murature, erbe che crescono tra le crepe, sotterranei devastati da occupazioni abusive, sporcizia e degrado ovunque, lo Stadio Flaminio muore da solo.

Schema del nuovo ingombro dello stadio (blu), della parte con la copertura da salvaguardare (rosso) e delle aree di pertinenza (giallo)

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