LA SINISTRA C’E’ (terza parte)

a proposito del saggio di Aldo Schiavone SINISTRA! un manifesto

Lo sguardo critico sul presente

Allora, come dovrà essere la sinistra per guardare al futuro? Negli ultimi due capitoli del saggio, Schiavone cerca di rispondere a questa domanda a partire da una ipotesi:” Non c’è sinistra senza pensiero critico. Non c’è sinistra senza mettere in questione l’ordine del presente […] La sinistra, in Italia e in Europa (per l’America il discorso sarebbe in parte diverso), ha confuso la fine della lotta di classe con la fine di un atteggiamento critico di fronte alla realtà contemporanea. Ha confuso la fine del comunismo con l’obbligo intellettuale, prima ancora che politico, di accettare l’ineluttabilità della disciplina tecnocapitalistica del mondo come oggi si configura […] La tecnica è potenza. Non è un dato metafisico, non si alimenta di forze incontrollabili.” (pag. 53-54). Vale a dire che di per sé la tecnica, o, meglio la tecnologia, non è un male oscuro che, incantando, opprime l’umanità, bensì uno straordinario fenomeno che percorre la storia dell’uomo, “da un ramo caduto o spezzato usato come bastone, fino al funzionamento dell’ultimo acceleratore di particelle” (pag.54). Ma. la tecnologia nasce dalla ricerca scientifica che richiede grandi investimenti; così il capitale ne è padrone assoluto, avendone capito il valore nel momento stesso in cui l’economia si spostava dal lavoro in fabbrica agli scenari dello scambio globale, ovvero al mercato. Io non sono statalista, ma ci siamo mai chiesti come sarebbe oggi il mondo se i padroni del web non fossero i miliardari americani, giapponesi o cinesi che fanno profitti raccogliendo pubblicità e vendendo dati, ma piuttosto organismi pubblici controllati democraticamente e senza fine di lucro? In ogni caso la sinistra deve guardare positivamente alla tecnologia “come spinta primaria che coincide con la nostra forma biologica” (pag. 54). Mentre non può esistere una destra realmente democratica, perché, in quanto identitaria, dovrebbe mettere in discussione la propria alterità accettando quelle degli altri, all’opposto alla sinistra spetta il compito di essere inclusiva, dunque molto attenta alle differenze e/o mutazioni indotte dall’uomo. “In questo, essa può incontrare oggi in pieno, e riconoscere, quel carattere impersonale dell’umano – dell’umano come specie – che cominciamo a intravedere con maggiore nettezza rispetto al passato, al di là dell’individualismo in apparenza dominante, perché il mondo globale ce l’avvicina e ce lo rende familiare grazie alla tecnica; in un certo senso, ce lo sta rendendo addirittura quotidiano […] perché nel pieno riconoscimento – politico, etico, giuridico – del «comune umano» come soggetto globale c’è la sola prospettiva di salvezza per l’intero pianeta.” (pag. 57)

Ma se la tecnica è un valore, quali sono le ricadute sul sociale, ovvero sulle condizioni di lavoro e di vita imposte dalla rivoluzione tecnologica? Scrive Schiavone: “Fra conquiste tecnologiche ed emancipazione dell’umano è esistito sempre […] un nesso strettissimo. Senza macchine e senza tecnologia la divisione sociale del lavoro aveva assunto nel passato caratteri così oppressivi […] da rendere indispensabile ricorrere largamente a masse di donne e uomini ridotti a meri strumenti animati, esseri senza storia e senza futuro” (pag.64). In qualche modo la stessa rivoluzione industriale di memoria storica aveva contribuito ad eliminare la schiavitù – ad esempio negli Stati Uniti del tempo – e avviare una emancipazione della condizione della donna. “Più la tecnica diventa potente, sia pur sempre all’interno di rapporti di produzione capitalistici, maggiore risulta penetrante la sua forza trasformatrice, più rende sicure e stabili le condizioni materiali delle nostre vite (cibo, salute, altri beni di consumo primari) […]. L’incremento di potere della tecnica crea le premesse indispensabili perché l’umano possa ribellarsi, fino a concepire sé stesso nella sua totale integrità e nelle potenzialità infinite racchiuse nelle finitezze delle singole vite che lo esprimono”. Non è quindi il progresso tecnologico in quanto tale a diventare direttamente emancipazione. Esso determina solo le condizioni per rendere possibili nuovi dispositivi sociali sempre meno costrittivi, differenti quadri culturali, modelli etici più includenti e tendenzialmente universali.” (pag. 65-66). In definitiva si viene a determinare un circolo virtuoso per cui tanto più il lavoro acquista dignità, consapevolezza e creatività, tanto più si creano nuove occasioni di sviluppo e nuove professionalità che posso ulteriormente concorrere a nuove acquisizioni tecnologiche. Tutto bene? Non esattamente, perché l’avanzamento tecnologico tende a produrre posizioni di dominio sempre più marcate. E il potere si lega sempre ai processi di accumulo di capitale; dunque, torna il conflitto capitale -lavoro, ma in forma diversa: essere una sinistra progressista significa anche affrontare il problema in modo critico, trovando i modi per rendere il progresso tecnologico guidato dall’investimento privato compatibile con le nuove dimensioni etiche e sociali: In termini politici questo si dovrebbe tradurre in un regime fiscale a carico dell’investimento tecnologico che lasci maggiore risorse al welfare e al ben comune (salute, istruzione, tutela dell’ambiente, lotta alla povertà e alle diseguaglianze, ecc…).La sinistra potrà svolgere questo ruolo solo se riuscirà a tenere insieme le diverse componenti sociali “unificate non da legami di classe, ma dalla condivisione di una medesima etica pubblica e di una comune percezione del mondo; insomma ridando un’anima e una prospettiva.” (pag. 70)

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